JOBS ACT, NASPI, ASDI e DIS-COLL. La riforma del mercato del lavoro

di Maria Angela Casula

Eccoci qui, ancora una volta, alle prese con incomprensibili termini anglosassoni molto di moda, che irrompono nella nostra vita con insistenza dalla Tv, dai giornali e da internet. A volte si pronunciano senza neanche sapere bene a cosa si riferiscano e per taluni il loro significato è pressoché ignoto.

Vediamo ora di capire qualcosa in più, che ci permetta di aver un’idea sulla riforma del lavoro e quindi poterne parlare, senza tuttavia voler diventare degli esperti del mestiere. Il Governo ha approvato due dei quattro decreti attuativi previsti dal pacchetto di riforma denominato “Jobs act”, che si riferiscono appunto alla tanto combattuta e complessa riforma del mercato del lavoro. Dovranno successivamente essere approvati i restanti decreti riguardanti la sorte dei precari e la nuova regolamentazione in materia di maternità e congedo parentale. Si parla di “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti” con riferimento alle assunzioni a tempo indeterminato poste in essere successivamente all’entrata in vigore del provvedimento governativo, e si estende anche a tutti quei casi in cui vi sia conversione di un contratto a tempo determinato o di contratto di apprendistato in un contratto a tempo indeterminato.

Perché viene denominato a tutele crescenti?
Dalla definizione sembrerebbe che preveda particolari agevolazioni e tutele a favore dei lavoratori in base all’aumentare dell’anzianità di servizio, invece, purtroppo, niente di tutto ciò. Si riferisce infatti al meccanismo in base al quale, in funzione degli anni di lavoro prestato, aumenta il valore dell’indennizzo previsto a favore del lavoratore che viene licenziato “senza giusta causa o giustificato motivo”. Questa tipologia di contratto prevede il reintegro nel posto di lavoro a favore dei lavoratori che siano stati dispensati dal lavoro a causa di un licenziamento discriminatorio, ovvero formulato a voce, nullo nonché per quei licenziamenti originati da motivi di natura disciplinare, a condizione che il fatto materiale non sia sussistente. La norma prevede, inoltre, un indennizzo negli altri casi di “licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo”, quali i “licenziamenti individuali economici, disciplinari, collettivi per violazione delle procedure o dei criteri di scelta”. L’entità di questo indennizzo varia a seconda del numero dei dipendenti dell’azienda di appartenenza del lavoratore. Se l’azienda ha più di 15 dipendenti l’indennizzo equivale a due mensilità per ogni anno di servizio, che si potrà godere da un minimo di quattro ed un massimo di 24 mesi. Se invece l’azienda ha un numero di lavoratori inferiore a 15 unità l’indennizzo è pari ad una mensilità per anno di servizio, con un minimo di due ad un massimo di sei mesi. Il lavoratore licenziato, entro sessanta giorni dalla data del licenziamento, può trovarsi di fronte ad “un’offerta di conciliazione” da parte del suo datore di lavoro in sede giudiziale, di arbitrato o in una commissione di certificazione. Questa offerta di conciliazione consiste nel corrispondere una determinata somma, esente sia da contribuzione previdenziale che fiscale, a favore del lavoratore, il quale così si impegna a rinunciare al proprio diritto di impugnare il provvedimento di licenziamento dinanzi ad un tribunale.

La riforma del lavoro ha introdotto una nuova tipologia di assicurazione sociale a favore dei lavoratori licenziati. Viene definita “Naspi” in sostituzione dell’Aspi e della mini Aspi di cui alla Legge Fornero. Vediamo ora quali sono i requisiti per poter accedere a questa tipologia di assicurazione sociale, che in termini pratici si sostanzia in una specie di indennità di disoccupazione, e in cosa consiste. Affinché un lavoratore licenziato possa usufruire di questa forma di assicurazione deve: avere perso involontariamente il proprio lavoro; avere avuto almeno 13 settimane di contribuzione nell’ultimo quadriennio; avere lavorato almeno 30 giornate nell’ultimo anno. L’entità di questa “assicurazione” ammonta al 75% della retribuzione che mediamente il lavoratore ha percepito nell’ultimo quadriennio, con un limite massimo di € 1.300 e comunque per un periodo massimo di 24 mesi. A decorrere dal 2017 naturalmente i limiti massimi si riducono, infatti sarà possibile goderne solo fino ad un massimo di 18 mesi e l’entità dell’assicurazione si ridurrà del 3% mensilmente dopo i primi quattro mesi. Accanto al Naspi è prevista un’altra forma di assicurazione denominata “Asdi” e si rivolge a coloro che, trovandosi in particolari situazioni di necessità economica, dovessero essere ancora disoccupati dopo il periodo di copertura della Naspi. Tale assicurazione coprirà un periodo che non supererà i sei mesi. Sia la Naspi che l’Asdi entreranno in vigore dal primo maggio di quest’anno.

Accanto a queste forme di assicurazione, che si sostanziano in pratica in assegni di disoccupazione, e che si riferiscono ai lavoratori dipendenti che hanno perso il proprio impiego non per loro volontà, troviamo la “Dis-coll”, una forma di assegno di disoccupazione a favore dei lavoratori con contratto di collaborazione a progetto iscritti alla gestione separata dell’INPS, in altri termini per i tanti precari del mondo del lavoro. Questa tipologia di assicurazione è in vigore e resterà tale solo per il 2015, in quanto a decorrere dal 2016 non sarà più possibile stipulare questa forma contrattuale di collaborazione. Potranno beneficiare di questo assegno di disoccupazione coloro che avranno maturato almeno tre mesi di contribuzione nel periodo intercorrente tra il primo gennaio dell’anno solare precedente a quello in cui è intervenuto il licenziamento, a condizione che nell’ultimo anno abbiano avuto almeno un mese di contribuzione. L’entità di questo indennizzo viene determinata sul 75% del reddito mensile, con un tetto massimo di € 1.195 mensili per un periodo pari alla metà dei mesi di contribuzione effettivamente fatti e comunque fino ad un massimo di 6 mesi. Una nuova forma di contratto, il “contratto di collocazione”, prevede la corresponsione di una determinata somma definita “dote individuale di ricollocazione” ad un disoccupato in base alla sua “occupabilità”, che dovrà essere destinata a finanziare un percorso di ricollocazione e formazione presso un soggetto accreditato. Questa dote sarà corrisposta a condizione che il disoccupato riesca a trovare un effettivo impiego proprio grazie al percorso di ricollocazione in cui è stato inserito.

Infine vediamo chi sono i soggetti maggiormente avvantaggiati da questa riforma del mondo del lavoro. Sono sicuramente le aziende di grandi dimensioni che potranno licenziare un lavoratore non “più all’altezza” di svolgere il lavoro affidatogli e nel contempo avranno un minore aggravio in termini finanziari grazie alla riduzione dell’ammontare dell’indennità di disoccupazione prevista per i lavoratori che licenzia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *