Migrazione e libero arbitrio

di Giancarlo Pillitu

Il problema politico-economico-sociale dell’immigrazione ci consente, non solo per la sua attualità, di affrontare un tema etico-gnoseologico che sta a monte: la questione del libero arbitrio. Siamo liberi o condizionati quando ci pronunciamo su un certo problema? Su che cosa si fonda la nostra conoscenza o interpretazione dei fatti? Sulla realtà oggettiva o sulla percezione soggettiva? Anche riguardo a fenomeni che godono di una accreditata e consolidata oggettività fisica, matematicamente misurabile, distinguiamo tra percezione e dato reale. Un caso emblematico è quello della temperatura, per descrivere adeguatamente la quale diventa imprescindibile prendere in considerazione la temperatura percepita, oltre a quella reale. Tale ampliamento della prospettiva implica ovviamente la riabilitazione della percezione e della dimensione soggettiva, che viene promossa al rango di realtà a tutti gli effetti. In quest’ottica, anche i sogni e le illusioni, in quanto esperienze vissute, fanno parte integrante della realtà. Il concetto di realtà, dunque, non coincide con quello di verità, perché è decisamente più ampio.

Salvataggio in mare di un migrante

Tale complessità non può essere ignorata quando si cerca di capire il comportamento di un popolo e di un Paese rispetto a una realtà variegata come il fenomeno dell’immigrazione. Soprattutto occorre distinguere tra l’ambito dell’essere (descrizione) e quello del dover-essere (prescrizione).

Solitamente, chi va alla ricerca maniacale del consenso, perché identifica la politica con la propaganda e con la campagna elettorale permanente, e di fatto ha acquisito competenze unicamente nel campo della comunicazione e della persuasione, ricava esclusivamente dalla percezione soggettiva la rappresentazione dei problemi e si colloca sul piano essenzialmente dell’astratto dover-essere per elaborare le risposte efficaci. La rispondenza delle risposte (dover-essere) ai problemi (percezione soggettiva) è misurata dal consenso. Il consenso diventa in questo modo il criterio della verità. E la politica, a quanto pare, può fare a meno della verità.

Di questi tempi, ma il problema è sempre esistito, spesso non è facile distinguere tra propaganda e informazione, tra condizionamento e de-condizionamento. Tale confusione compromette l’esercizio del libero arbitrio, nel giudizio sui fenomeni (descrizione/conoscenza) e nella elaborazione dei comportamenti più adeguati rispetto agli stessi (dover-essere/politica).

Forse, bisognerebbe sospendere scetticamente il giudizio sulla possibilità del libero arbitrio, e concentrarsi maggiormente sul concetto di relazione. La percezione soggettiva e il dover-essere molto spesso si sostituiscono alla relazione che occorrerebbe intrattenere con la realtà, soprattutto con la realtà sociale. La relazione fa parte dell’esistenza, mentre la percezione spesso è puramente virtuale. Chi di noi si è realmente preso la briga di conoscere direttamente e personalmente i cosiddetti migranti, superando il fastidio fisico indotto dalle immagini televisive o dallo scenario che si prospetta quotidianamente nei parcheggi delle nostre città e nelle spiagge dei nostri luoghi di vacanza?

Tra la percezione e la conoscenza vi è uno spazio vuoto, un’assenza. Come intrepretarla? Qual è la sua natura? Come colmarla?

La risposta potrebbe essere ricercata in vari modi, per esempio prendendo le mosse dalla lettura di un articolo sulla mistica scritto dalla semiologa e psicoanalista bulgaro-francese Julia Kristeva (1941), intitolato significativamente “Perché l’avventura mistica ci seduce ancora” (in “Domenica-Il Sole 24 Ore”, 15 luglio 2018, p. 25). La Kristeva ci ricorda che il fascino che l’esperienza mistica ancora esercita su di noi deriva da “un’unione amorosa tra l’anima, ovvero il corpo, e il suo Dio”, che, tuttavia, e in ciò risiede un ulteriore fattore di fascinazione, risulta assente. L’assenza di Dio coincide così con uno spazio vuoto. Vuoto di senso. Lo spazio dell’Altro per eccellenza, del “Totalmente Altro”. I mistici (come Teresa d’Avila, 1515-1582) colmano tale vuoto con l’amore, che conosce tutti i gradi, che vanno dalla sensualità alla sublimazione. Ma noi comuni mortali quali possibilità abbiamo di riempire il vuoto che separa la percezione dalla conoscenza? Abbiamo bisogno di facilitazioni concrete, che nella realtà vera non mancano mai, e soprattutto possiamo declinare la mistica (adatta a personalità eccezionali, ovvero sante) in politica, ossia possiamo dare una curvatura mistica alla politica (che non è altro che il condensato dei nostri atteggiamenti e comportamenti quotidiani, gli stessi che si traducono in scelte di campo, fuori e dentro i seggi elettorali). Per noi comuni mortali, infatti, lo spazio vuoto si riempie concretamente, l’assenza si fa presenza: compaiono i migranti, pronti a dare un senso e un orientamento alla nostra vita. I migranti potrebbero riempire, nel nostro immaginario etico-politico (ma anche epistemologico e religioso, se vogliamo intendere la religione come una forma di conoscenza, che si presta come tale, secondo l’insegnamento di Gregory Bateson, ad un’analisi epistemologica), il luogo lasciato vuoto da quel Dio al quale da sempre, credenti o non credenti, continuiamo a rivolgerci, nonostante la sentenza nietzscheana della morte di Dio, per colmare il vuoto di senso della nostra esistenza. Una siffatta prassi mistico-politica sarebbe perfettamente compatibile con la tradizione della nostra Italia e della nostra Europa, che vantano radici sia cristiane che illuministe. Tale prospettiva, folle o semplicemente provocatoria, è, dal punto di vista etico e politico, contemporaneamente rivoluzionaria, perché non mira alla creazione di profitto (e non vi è nulla di più rivoluzionario di ciò che non è al servizio del profitto), e conservatrice, perché radicata in duemila anni di storia del Cristianesimo.

Il libero arbitrio, fondato sulla relazione (presupposto della conoscenza) anziché sulla percezione, non si identificherebbe più con la scelta, che sfocia nell’esclusione, ma con l’epifania, che si traduce in accoglienza, ospitalità. Si tratta di un sovvertimento completo della logica che regola i rapporti sociali, che dal “mio diritto” passa al “mio dovere” (Simone Weil, Vladimir Jankélévitch, Giorgio Agamben).

Vulcano n° 96

 

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