Quel che non vediamo in chi non vede. Il teatro coinvolgente de “I figli della frettolosa”

“I figli della frettolosa” - © foto Sardegna Teatro
© foto Sardegna Teatro

«È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi».

Queste celebri parole scritte da Antoine de Saint-Exupéry ne “Il Piccolo Principe”, il suo capolavoro, sono tra le prime che si imprimono nella mente dello spettatore durante la visione de “I figli della frettolosa”. Il nuovo spettacolo scritto e diretto da Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari è in scena al Teatro Massimo di Cagliari fino al 15 dicembre.

Nato da un laboratorio di co-creazione, lo spettacolo si pone come una forte riflessione sul tema della cecità, con tinte ironiche che ne scardinano i luoghi comuni. Prodotto da Teatro dell’Elfo, Fondazione LuzzatiTeatro della Tosse e Sardegna Teatro, è realizzato grazie alla collaborazione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Milano e di Cagliari.

In scena ritroviamo gli stessi Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari, insieme a Ludovico D’Agostino, Francesco Civile, Marta Proietti Orzella, Vanessa Megan Perseu, Francesca Cadoni, Fabio Garau, Francesca Marrosu, Daniela Romano e Andrea Spiga.

Accanto ai nomi di attori e attrici professionisti, troviamo quelli di persone realmente cieche o ipovedenti come Berardi. Traendo spunto da alcune esperienze autobiografiche, viene portata in scena un’opera teatrale che fa riflettere lo spettatore non tanto sulle difficoltà che i ciechi affrontano ogni giorno quanto, soprattutto, su come la loro condizione sia percepita dalla società. I protagonisti recitano in maniera vitale e potente, portando sulla scena momenti estremamente dinamici e quasi sempre comici. Gesti forti e parole pungenti che sdoganano completamente la percezione di “poverini” cui spesso i non vedenti sono relegati.

Così reale proprio in teatro, tempio della finzione e della recitazione, l’individualità dei protagonisti colpisce ed emoziona il pubblico portandolo a vedere la cecità da un’altra prospettiva. Lo spettatore è coinvolto nello spettacolo non solo tramite una messa in scena intimista, con una ristretta platea, ma anche attraverso momenti relazionali tra pubblico e scena.

Con un sonoro d’impatto che alterna bisbiglii a rumori assordanti e latrati a leggiadre canzoni accompagnate dalla chitarra acustica, l’opera trasporta in una dimensione altra eppure estremamente vicina a noi, dove non mancano raffinatissimi momenti di metateatro.

Lo spettacolo dimostra così che il teatro non è un luogo istituzionale e “pigro” verso la realtà, ma un luogo coinvolgente e fortemente partecipativo che porta a riflettere su ciò che davvero è essenziale nella vita. Anche se risulta invisibile.

Marta Melis

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