Se la scuola è il cardine del futuro…

Se davvero lo è, allora un ripensamento del rapporto docenti-alunni potrebbe fornire maggiori speranze per un futuro che non pare un granché avviato alle “magnifiche sorti e progressive” che attraverso i molti tromboni ben pagati promette

di Gianni Rallo

Mi corre l’obbligo, per svariate ragioni, di portare l’attenzione su un argomento di particolare importanza ed interesse, specialmente coi tempi che corrono e in vista dei loro sviluppi: la scuola, sotto l’aspetto del rapporto docente-alunno, punto dolente perché vero responsabile del successo o dell’insuccesso della scuola stessa.

Prima, però, mi corre l’altro obbligo – per non correre il rischio di non essere capito e di apparire banale o, peggio, utopistico – di collocare (brevemente, per ora) la questione nell’ambito più vasto che le compete e che ne determina gli aspetti fondamentali: la famigerata globalizzazione.
I sistemi scolastici di tutto il mondo sono per forza di cose pesantemente influenzati da questa rivoluzione politico-economica che, a partire dalla metà degli anni Ottanta e poi con la caduta del Muro di Berlino, ha dato il via al sistematico stravolgimento dell’organizzazione mondiale precedente. La globalizzazione dell’economia (e cioè delocalizzazione, apertura spesso forzata dei mercati, consumismo come religione, scontri di culture e di concezioni del mondo diverse, etc.) ha sottratto agli Stati-Nazione il controllo dell’economia stessa e, quindi, del potere politico, lasciando uno spazio mai visto ai privati e alle privatizzazioni. Privato contro pubblico è la nuova parola d’ordine, laddove pubblico vuol dire corrotto, scadente, inaffidabile e privato, invece, il contrario. Si vuol far passare l’idea che anche lo stato sociale (sanità, scuola, pensioni, acqua, etc.) funzioni meglio se affidato a privati. Anche a livello internazionale la politica non la fanno più gli Stati-Nazione ma organismi internazionali (multinazionali) o sovranazionali (la Ue, ad es.), che usano i poteri e gli ideali (la democrazia, il diritto) dei vecchi Stati-Nazione per soddisfare interessi squisitamente privati.

Stando così le cose, è ovvio che anche i vecchi “valori” debbano, all’atto pratico, essere sostituiti con quelli dei nuovi padroni del vapore: denaro e potere (l’uno funzionale all’altro e viceversa) sono l’anima e il motore di ogni scelta politica e sociale da decenni a questa parte: dalle pensioni agli aiuti internazionali, dalle guerre “umanitarie” alla scelta dei governanti di turno, dalle questioni ambientali alle riflessioni sul diritto, tutto deve essere allineato alle teorie neoliberiste imperanti e alla ferrea visione economicista di chi – senza nessun appoggio democratico, si badi – le rappresenta, o è costretto a farlo, stando bene incollato alle poltrone più alte.

Lasciando ad altri momenti il necessario sviluppo del complicato quadro appena delineato, torniamo alla scuola. In un contesto del genere, una scuola che educhi al senso critico e coltivi le più elevate capacità umane è come un pugno in un occhio: ad un siffatto sistema serve piuttosto addestrare che educare e formare i futuri soldati/vittime dell’economia. Non cultura ma abilità, non sentimenti ma bisogni, non vera libertà ma obbedienza al pensiero unico, non senso civico ma cieco individualismo, non rispetto dell’altro ma razzismo becero (le guerre sono il vero motore di questo sistema e servono soldati-automi): chi prova a dare uno strattone e a vivere sul serio, è un complottista o, non lo volesse il cielo, un complice dei terroristi: va escluso, ricondizionato, o peggio.

E che fine fa, allora, la funzione docente in una scuola che la teme perché potenzialmente capace e istituzionalmente orientata a sviluppare il senso critico (a tanto si erano spinti i retrogradi padri delle grandi Costituzioni occidentali!)? Semplice, viene disinnescata, come si fa con ogni pericoloso esplosivo: i docenti sono economicamente e socialmente umiliati, resi impotenti da classi pollaio, obblighi burocratici farraginosi, non formati per affrontare generazioni di alunni sempre più lontane dal saper lavorare seriamente e con costanza a percorsi difficili ma obbligati dalla stessa conformazione della mente umana, imbrigliati in innovazioni informatiche che da mezzi finiscono per diventare obiettivi, etc. Insomma, per farla breve e senza voler troppo generalizzare, molti docenti faticano a portare avanti il proprio lavoro pur essendo coscienti del suo alto valore civico, culturale, pedagogico, emozionale. Già, emozionale, perché se non si riesce a intendersi su nulla e a sollecitare curiosità, passioni e voglia d’imparare (tutti fattori emozionali), è difficile essere insegnanti e diventa penoso e stressante doverlo fare in un clima sempre più estraneo all’idea stessa di scuola. Non sfondo nessuna porta, è esperienza ben nota e sempre più diffusa.

Ecco allora, per venire finalmente al dunque, l’idea contenuta in un progetto, “Gesti e parole a scuola”, che potrebbe presentare attività e percorsi utili ad un recupero “emozionale” della funzione docente, restituendole efficacia e soddisfazione: non un ricorso a tecniche “esteriori” (informatica e digitalizzazione a oltranza, certi progetti scuola-lavoro, niente compiti a casa, viaggi e gite non sempre davvero necessari, etc.), dunque, che, pur utili, nel contesto descritto di demotivazione e mancanza di curiosità e capacità d’impegno, lasciano spesso il tempo che trovano, ma ridefinizione del rapporto alunni-docenti partendo da ciò che entrambi hanno in comune: il raziocinio e l’emotività, mai veramente separati in nessuna delle nostre azioni.

Il titolo del progetto richiama, allora, il modo particolare con cui l’attore utilizza, appunto, il gesto e la parola nella sua formazione professionale. Alla base di quel lungo percorso stanno sempre l’emozione, l’istinto, il corpo, come terreni universali di comunicazione. L’attore, compiendo un importante lavoro di autoconsapevolezza e di autocontrollo, si rende capace di recitare, cioè ridare una vita vera a quelle che sono semplici parole scritte. L’idea centrale del progetto consiste quindi nel far compiere, almeno parzialmente, questo percorso ai docenti di un singolo Consiglio di Classe in modo da formare una sorta di “compagnia” affiatata e capace di reciproca fiducia (altro aspetto fondamentale della recitazione come nella didattica). Mentre si mette in gioco in una vera sessione di prove teatrali e di messa in scena, il gruppo di docenti lavorerà anche sul versante didattico al fine di individuare comportamenti, tattiche, nuovi punti di vista e di comunicazione che, scavalcando le differenze generazionali e culturali, permettano loro di stabilire un contatto profondo e immediato – a livello zero, per così dire – coi loro ragazzi. Da questo livello comunicativo sarà poi possibile ripartire per un percorso didattico più ricco di stimoli, di una nuova complicità e di una riscoperta possibilità di fare un viaggio comune, dentro e non fuori di sé. Il mondo attuale persegue l’esteriorità, il materialismo, la velocità (e quindi la superficialità), l’apparenza, il potere economico, ma trascura o tiene in poco conto il modo interiore, laddove nascono le grandi domande, covano l’amore e la paura, germogliano le speranze e le consapevolezze; siamo costretti invece a consumare in fretta e continuamente, senza pensare a ciò che realmente è la vita umana, con tutti i suoi limiti e le sue grandezze.

Lascio aperta la questione ad eventuali sviluppi teorici o concreti ma voglio esprimere su queste pagine la mia ragionevole certezza sul valore altamente innovativo (anche se nulla di nuovo appare mai veramente sotto al sole) e, per certi versi, rivoluzionario di una scuola che torni a lavorare – con strumenti nuovi o antichi, poco importa – sull’uomo, piuttosto che sul consumatore e che formi i suoi docenti a trovare soddisfazione e piacere nel faticosissimo compito che sono chiamati a svolgere piuttosto che rincorrere a perdifiato gli sghembi contorcimenti di una società che, non sapendo che pesci pigliare, si rassegna a comportamenti che rasentano, a me pare, il più pericoloso autolesionismo.

Bibliografia
Enzo Penna, L’ultimo uomo, GOG, 2017
Fabio Mini, La guerra spiegata a…, Einaudi, 2013
Fabio Mini, La guerra dopo la guerra, Einaudi, 2003
Fabio Mini, Perché siamo così ipocriti sulla guerra? Chiarelettere, 2012
Mark Duffield, Guerre postmoderne, Il Ponte, 2013
Esiste davvero il terrorismo?, Fazi Editore, 2005
Sanford Meisner, La recitazione, Dino Audino Editore, 2011
Sun Tzu, L’arte della guerra, Ubaldini Editore, 1990

Vulcano n° 94

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