Incontro con la figlia del “Che”. Aleida Guevara a Cagliari per parlare di Diritti, Sanità e Istruzione
In una Mediateca che conteneva a fatica le tante persone accorse per incontrarla, Aleida Guevara ha tenuto un lungo discorso più volte interrotto dagli applausi.
Ospite dell’Associazione Amicizia Italia-Cuba e del Circolo José Martí per un incontro dal titolo “Diritti, Salute e Istruzione. Viaggio culturale intorno a Cuba”, apre il suo discorso chiarendo un punto per lei fondamentale: «mi presentano sempre come la figlia del ‘Che’ Guevara e io ne sono onorata. Ma sarei ingiusta se non riconoscessi che se oggi sono una donna socialmente utile, lo devo all’educazione di mia madre».
Esprime la massima gratitudine per gli insegnamenti da lei ricevuti: Aleida March ha sempre invitato lei e i suoi fratelli a vivere con i piedi per terra, a rifiutare i privilegi e tutto ciò che non si erano guadagnati personalmente.
È un privilegio – riconosce – essere la figlia di Ernesto Guevara, ma quello che è lei oggi è il frutto di un percorso del tutto personale.
Medico specialista in allergologia pediatrica dell’ospedale William Soler dell’Avana, è attivista per i diritti umani e militante del Partito Comunista Cubano. Collabora con il Centro Studi Che Guevara e con la Scuola di Solidarietà con Panama, che si occupa di bambini con discapacità fisico-motorie o affetti da ritardo mentale.
Descrive il suo paese, «che disgraziatamente si trova in una posizione geografica di interesse statunitense e ha vissuto anni molto difficili per la volontà degli Stati Uniti di «bloccare economicamente Cuba».
«Noi – precisa – non parliamo di embargo, parola che sarebbe corretta se il governo degli Stati Uniti non volesse commerciare con Cuba, cosa che sarebbe nel suo diritto. Ma quello che non è possibile accettare è che il governo degli Stati Uniti impedisca a tutti gli altri paesi del mondo di commerciare con Cuba. Questa è la differenza tra embargo e bloqueo. Io sono nata in un Paese bloccato e da medico vivo e soffro questo blocco criminale».
Riconosce i limiti della rivoluzione i cui successi, però, non si discutono e il “nuovo modello cubano” non significa “capitalismo”, ma soltanto apportare i correttivi necessari: «i grandi mezzi di produzione continuano ad essere in mano allo Stato, le forse armate cubane rispondono unicamente al popolo cubano. Le terra cubana non si commercia, non si vende, è proprietà del popolo cubano. Gli investimenti esteri sono i benvenuti, ma solo se portano beneficio al popolo cubano». Lo siento, prosegue con velata ironia, «ma quel muro di dignità e sovranità è ancora in piedi». Queste le sue parole a commento dei titoli della stampa europea per quello che è stato presentato come il disgelo con gli Stati Uniti d’America e la presunta caduta del “muro socialista”.
Tuona contro la disinformazione diffusa: «i giornalisti rispondono ai grandi interessi economici, per questo dobbiamo lottare per avere giornalisti responsabili verso il popolo. La verità oggi quasi non esiste, e quando ci negano la verità, ci negano la possibilità di reagire e di opporci. Lo hanno fatto con Cuba, lo stanno facendo ancora con il Venezuela».
Non risparmia parole che suonano come un rimprovero anche per noi europei perché «negli ultimi anni si è proceduto con le privatizzazioni nella Sanità a passi da gigante e voi non reagite! Dovete difendere quel che è stato conquistato in anni di lotte sindacali».
Non pretende di dirci quello che dobbiamo fare ma vuole certamente ricordarci alcune cose fondamentali, prima tra tutte l’unità perché «senza unità non c’è la forza necessaria per affrontare la distruzione in atto. Bisogna sostituire io con noi, perché non possiamo perdere quello che abbiamo conquistato, quello che hanno conquistato i vostri padri, i vostri nonni».
Tante le domande del pubblico presente, ma mi piace riportare l’intervento della dottoressa Claudia Zuncheddu, che sottolinea che la collega Aleida arriva in Sardegna in un momento particolare, «perché anche noi abbiamo i nostri gringos che vogliono privatizzare il sistema sanitario pubblico, così come l’istruzione pubblica».
Si augura che l’appello all’unità del popolo possa essere ripetuto alla stampa sarda e chiude con una domanda sulle relazioni tra suo padre e Fidel Castro.
Un tema complesso – dice qualcuno tra il pubblico – No, doloroso, corregge lei. Perché – continua con la voce rotta dall’emozione – stiamo parlando comunque di un padre: io mi sono sentita orfana per la seconda volta. «Erano compagni, fratelli, lo sono stati tutta la vita. Per contrastare una figura viva hanno utilizzato un uomo morto cercando di metterli in contrapposizione, ma questa è la tontería più grande del secolo. Più che amici erano fratelli e quell’amicizia non si discute: mio padre non avrebbe mai lasciato i suoi figli in un paese senza la certezza che sarebbero stati amati da tutti».
Chiude raccontando quel giorno in cui fece notare a tío Fidel che stava parlando del ‘Che’ al presente, come se dovesse varcare la porta da un momento all’altro e lui, molto seriamente, rispose: No, è che tuo padre è presente.
Due ore e mezza intense quelle in compagnia di Aleida Guevara, parole semplici le sue ma di una forza politica straordinaria.
Buon sangue non mente.
Carmen Corda