Coronavirus: ecco cosa succede sul campo!

Arriva una chiamata dalla Centrale: «Mike 20, codice rosso per voi: uomo di 50 anni con crisi convulsive mentre viene sottoposto al tampone per ricerca di coronavirus».

L’équipe della Mike è composta da tre figure: medico, infermiere e autista-soccorritore. Ci guardiamo in faccia. Dobbiamo indossare velocemente i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) e bardarci da testa a piedi per evitare il contagio.

Durante il tragitto verso il luogo dell’evento, il dialogo tra me e la dottoressa è continuo: «Allora Sandro, quando arriviamo terminiamo la vestizione, indossiamo i guanti, la mascherina e gli occhiali. Tu controlli me e io farò lo stesso con te».

Arriviamo sul luogo dell’evento. Ci accoglie l’équipe delle malattie infettive che stava effettuando il tampone sul paziente: sono sull’uscio dell’abitazione, ci danno le ultime informazioni. Adesso la crisi convulsiva è cessata, forse è stato un riflesso vasovagale causato dall’introduzione del tampone nella faringe. Il paziente si è ripreso, ma vanno rilevati i parametri vitali ed eseguito un elettrocardiogramma.

Io e il medico ci scambiamo un’occhiata e controlliamo se tutti i nostri dispositivi di protezione individuale sono in ordine e sistemati bene. Siamo abituati alle emergenze, ma adesso è diverso. Non dico che abbiamo paura, perché altrimenti sarebbe stato meglio fare un altro mestiere, ma qualche timore in più, stavolta, c’è.

Mi avvicino al paziente con il mio monitor-defibrillatore LIFE Pak 15, un “bestione” di circa 15 chilogrammi. L’uomo è disteso su un divano, indossa la mascherina, anche lui ci guarda preoccupato; ci vede bardati e con i nostri movimenti un po’ lenti e impacciati dentro una tuta tywek che non indossiamo tutti i giorni.

Lo saluto e gli dico di stare tranquillo, ma non è facile. Leggo nei suoi occhi la preoccupazione, lo rassicuro: «Vedrai, andrà tutto bene». Ma non va bene per niente, perché la tuta mi fa un caldo tremendo e gli occhiali protettivi, sopra i miei da vista, si appannano. Non vedo niente, ma non posso toglierli, non posso asciugarmi le gocce che scivolano dalla fronte verso la bocca, non posso strizzarmi l’occhio che mi prude.

Vado avanti: infilo il bracciale della pressione sul braccio del paziente, metto il saturimetro sul dito, poi preparo gli elettrodi nella frusta e faccio un elettrocardiogramma. Intravedo nella nebbia dei miei occhiali i tasti per far partire l’elettrocardiogramma: non vedo proprio niente e vado a intuito. Mi aiuta la mia trentennale esperienza di infermiere sul campo.

Riusciamo a fare tutto e bene, anche se in condizioni ambientali e strettamente personali disagevoli. In conclusione, la visita è andata bene: i parametri vitali e l’elettrocardiogramma sono in ordine. Il paziente può rimanere a casa, in attesa del referto del tampone che arriverà nei prossimi giorni.

Per me e la dottoressa invece arriva il momento più critico: ci dobbiamo svestire e togliere tutti i dispositivi di protezione individuale. È appurato che il contagio avviene soprattutto nel momento della svestizione. Un movimento sbagliato, fatto con la fretta o per disattenzione, potrebbe essere fatale. Ci muoviamo con cura. Prima io aiuto la dottoressa, poi sarà lei a dare una mano a me. Lo facciamo con molta attenzione, sperando che tutto vada bene.

Ecco, questo è il report di un evento vero, che ci ha tenuti sul filo per quasi due ore, intense come non mai e con una carica di adrenalina ai massimi livelli. Il racconto è snello e sembra che tutto sia avvenuto velocemente e senza intoppi, ma non è stato così: la cronaca è stata semplificata e sintetizzata al massimo e molti particolari sono stati omessi. Quella che vi ho raccontato è solo una delle tante esperienze sul campo che noi medici, infermieri e soccorritori stiamo effettuando sul campo in tutte le regioni del nostro Paese.

Vi dico solo che per sconfiggere il coronavirus dobbiamo evitare i contatti, se non sono strettamente necessari. Il nostro sistema sanitario è messo a dura prova, è al limite della sopportabilità, a partire dalle Centrali del 118, ai Pronto Soccorso, alle Rianimazioni e ai vari reparti di tutti gli ospedali italiani.

Noi operatori sanitari stiamo facendo doppi, tripli turni per rispondere a tutti. Ma anche tu, cittadino, devi fare la tua parte, devi semplicemente rispettare le direttive che il nostro Governo ha emanato.

Tutto questo per salvaguardare la nostra salute e tutti gli sforzi immani che noi operatori sanitari stiamo facendo. Non sarà facile, ma se vogliamo salvarci dobbiamo farlo. Dobbiamo sconfiggere il Covid-19, meglio noto come coronavirus. Forse a breve avremo finalmente un vaccino, ma nel frattempo dobbiamo osservare queste fastidiose ma indispensabili disposizioni.

Il Covid-19, acronimo di Co (corona), Vi (virus), D (disease, malattia) e 19 (anno di identificazione del virus), meglio noto come coronavirus, non è uno scherzo. Anche se i dati non tengono conto della distinzione dei deceduti “con” il coronavirus o “per” il coronavirus e dovranno essere confermati dall’Istituto Superiore di Sanità, solo in Italia il Covid-19 ha già mietuto oltre 12.0000 vittime. Il virus sta inoltre continuando a diffondersi in Europa, negli Stati Uniti e in altre zone del pianeta.

Se riusciremo a sconfiggerlo, e dobbiamo farlo, tra qualche mese potremo risvegliarci da questo incubo.

Sandro Bandu (12 marzo)

Sandro Bandu 118 emergenza coronavirus
Sandro Bandu, infermiere 118 di Cagliari

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *