Deu ci seu, storia di un popolo e della sua squadra

di Carlo Manca

 

Dopo il recente lavoro in ricordo di Gigi Riva e del suo grande Cagliari arriva al cinema il racconto di un altro importante capitolo della storia rossoblù, lo spareggio salvezza con il Piacenza.

Siamo nel 1997, dopo un campionato tra alti e bassi il Cagliari di Carlo Mazzone si riprende nel finale e compie l’impresa sbancando Milano con una rete di Muzzi. Cagliari, Piacenza e Perugia terminano a 37 punti, il Perugia è svantaggiato nella classifica avulsa e retrocede, per Cagliari e Piacenza sarà spareggio.

Il Cagliari parte nettamente favorito, la vittoria contro il Milan ha portato il morale in alto e lo spareggio sembra poco più che una formalità. 

Lo stadio olimpico di Roma è per tutti la soluzione ideale, la più logica, anche per garantire ai tifosi isolani la possibilità di poter raggiungere la sede di gara senza troppi disagi. Dall’alto però si decide diversamente, lo spareggio si terrà a Napoli. 

La piazza è incredula, Napoli è un campo che non fa felice nessuno. La città partenopea sta vivendo un periodo molto delicato e le faide tra i camorristi la rendono una delle città più pericolose d’Italia. A livello logistico non va meglio. Per i piacentini cambia poco, due ore in più di treno e via. Per i sardi è un’altra storia, l’isola è collegata malissimo con il resto del Paese e la Tirrenia fa il bello e soprattutto il cattivo tempo. 

L’entusiasmo però resta alle stelle, il Cagliari ha un’organico superiore e in panchina c’è Mazzone. Cresce la febbre spareggio. Nelle strade della città si diffonde ovunque un solo messaggio: “Tutti a Napoli”. Inizia la caccia al biglietto. Nelle ricevitorie le file iniziano molto presto, anche alle cinque del mattino, nessuno vuole mancare. L’aereo è molto caro e le persone comuni si riversano sulla nave. I biglietti spariscono in un attimo ma la pressione popolare è tanta che il Presidente Palomba interviene personalmente e grazie ai buoni rapporti con i vertici della Tirrenia ottiene altri vettori. Sulle navi si fa festa, si mangia, si canta e si balla. I tifosi accorrono da tutta l’isola e ancora una volta i sardi si trovano uniti sotto uno dei loro simboli. 

Il viaggio sarà molto più lungo del previsto, le autorità campane inizialmente rifiutano lo sbarco e alla fine i passeggeri resteranno in nave quasi 24 ore. Una volta a terra i tifosi vengono trasportati dai bus direttamente allo stadio, ma non prima di subire una serie di attacchi vigliacchi da parte di alcune centinaia di tifosi napoletani.  

Arrivati al San Paolo torna il sorriso. Nonostante le tante difficoltà oltre ventimila sardi sono accorsi a sostenere i rossoblù mentre dall’altra parte i tifosi piacentini sono una frazione, appena qualche migliaio. Nel mentre però alcuni tifosi locali si intrufolano nello stadio e provocano i sardi, scoppiano tafferugli tra gli ultras. La polizia interviene con decisione, in alcuni casi eccessiva, e riporta l’ordine. 

Le due squadre finalmente fanno il loro ingresso in campo ma sin da subito sembra che ne giochi solo una, il Piacenza. Gli emiliani capitalizzano il momento e dopo 6′ vanno in vantaggio con Luiso. Il Cagliari cerca di reagire ma in porta Taibi è in gran giornata. Al 40′ Berretta raddoppia su punizione deviata e Valtolina poco dopo potrebbe fare anche il terzo su rigore ma Sterchele para e fa esultare i sardi. Sugli spalti torna la speranza e quando al 65′ Tovalieri accorcia la rimonta sembra ormai a un passo. Il finale però sarà diverso, il Cagliari si sbilancia troppo e al 90′ subisce anche il terzo gol, di nuovo con Luiso.

Per il popolo rossoblù è una doccia fredda, nessuno ci vuole credere. Complice la stanchezza il ritorno a casa è mesto e malinconico. Una volta in Sardegna però succede l’inaspettato, una folla di tifosi attende al porto e il loro sbarco è accolto tra gli applausi. Questa volta è andata male, è vero, ma ancora una volta abbiamo dimostrato che la Sardegna è un’altra cosa. Anche se si tratta di una partita di pallone. La trasferta di Napoli è stata una di quelle esperienze collettive che ha riunito un popolo e messo in evidenza luci e ombre, aspetti unici nel bene e nel male che ci rendono nei fatti diversi dal resto d’Italia. La diversità è qualcosa da difendere e valorizzare, non altrettanto le discriminazioni. Se una trasferta di calcio diventa momento di memoria collettiva e poi film da una parte è meraviglioso, dall’altra qualcosa non va. Il calcio è un gioco, la continuità territoriale e la distanza dall’Italia no. I collegamenti con la terraferma, intermittenti e carissimi, precludono sviluppo e reale integrazione anche con il resto d’Europa. Commercio, turismo, lavoro, scambi culturali, tutto ne risente. Generazioni di sardi ne hanno sofferto e se è vero che la situazione negli ultimi anni è migliorata la strada da fare è ancora lunga, molto lunga.  

 

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