Il Prof. Ugas ritorna a Decimoputzu: “Sant’Iroxi è un sogno per ogni archeologo”

Il Prof. Ugas durante una recente conferenza. Foto Carlo Manca

di Carlo Manca

 

 

Intervistato in occasione del momentaneo ritorno a Decimoputzu della statuetta di Dea Madre neolitica da Cungiau de Marcu, l’archeologo Giovanni Ugas ripercorre con la memoria alcune delle esperienze più significative delle sue numerose campagne di scavo nella zona e fa il punto su alcune problematiche dell’archeologia nuragica.

Giovanni Ugas è uno degli studiosi più celebri nel mondo dell’archeologia isolana. Allievo dell’illustre interprete dell’archeologia prenuragica e nuragica Giovanni Lilliu, ne ha ricevuto il testimone approfondendo diversi filoni di ricerca avviati dal suo maestro. In Sardegna ha diretto numerosissime campagne di scavi in notevoli siti archeologici, basti ricordare Santa Anastasia di Sardara, Su Mulinu di Villanovafranca, San Cosimo di Gonnosfanadiga, Monte Zara di Monastir oltre a Sant’Iroxi di Decimoputzu. Inoltre, ha collaborato a importanti ricerche anche fuori della Sardegna e ha al suo attivo numerosi articoli e libri molto apprezzati relativi al mondo prenuragico e nuragico e ai suoi rapporti col Mediterraneo. Per ultimo si ricorda il suo saggio C’era una volta Atlantide. L’identità geografica e storica dell’isola di Platone”. 

– Professore, cosa rappresenta questa statua? Perché la Dea Madre è così importante?

La statua di Dea Madre trovata a Decimoputzu è un reperto di straordinaria rilevanza. Datata tra il 4400 ed il 3800 a.C., è finemente realizzata in alabastro, un materiale piuttosto raro nei manufatti isolani. Il suo ritrovamento ci permette di avanzare una serie di ipotesi, non ultima quella che sia un importante segnale di precoci relazioni in ambito artistico e religioso con l’oriente mediterraneo, soprattutto con l’Egitto.

La figura femminile rivestiva una grande importanza, reale e simbolica, nel campo sociale e religioso delle prime comunità sarde e non a caso nell’Età neolitica e nell’Eneolitico risultano rappresentate interamente solo immagini della divinità femminile, immortale, mentre l’antenato maschile è simboleggiato dalla testa dell’animale che muore (toro, ariete, becco, muflone, etc.). Più tardi sul finire dell’Età eneolitica, intorno al 2300-2000 a.C., nelle statue-stele del Sarcidano l’antenato è raffigurato schematicamente per intero, ma capovolto ad indicare ancora la sua caducità. È palesemente una figura regale e l’arma che l’accompagna (il pugnale o lo scettro), è il simbolo del potere che passa in eredità al suo successore, colui che sposa la regina o la principessa, l’erede femminile della dea da cui discende il potere. Siamo in presenza di una società a successione ereditaria matrilineare; la casa è della donna e l’uomo va a sposarsi al di fuori del suo ambito domestico. Anche il potere regale apparteneva alla famiglia della regina e come nelle fiabe, uno diventava re non perché figlio del re ma perché sposava la figlia del re (o la regina vedova) di una regione. Il potere sacro però il re lo esercitava solo per un periodo di tempo limitato, in genere per otto anni. Nell’Egitto faraonico questo periodo di regno poteva essere rinnovato per un altro ciclo di otto anni e per altri analoghi cicli temporali con una prova di valore, in occasione della festa Sed. Sono famose le numerose feste Sed del faraone Ramesse II che regnò per circa 67 anni. 

Almeno sino all’età nuragica in Sardegna, quando il capo (re) diventava vecchio, ossia perdeva le sue capacità fondamentali di essere ancora padre e difensore della comunità, veniva sacrificato e la figlia della regina o la regina stessa sposava un nuovo pretendente, in genere uno zio. Secondo le tradizioni letterarie classiche ed etnografiche, in Sardegna il vecchio re (e per analogia gli altri vecchi padri) veniva scaraventato da una rupe o buttato giù su un crepaccio o anche ucciso con l’arco, come Ulisse, trafitto dal figlio Telegono con la spina sardonica, l’aculeo della razza marina.

 – Se le dico Sant’Iroxi cosa le viene in mente?

Nell’agro di Decimoputzu, in particolare nell’area della chiesa di Sant’Iroxi e in quella più ampia dell’attuale abitato, troviamo le evidenze stratificate di molte epoche, dal VI millennio a.C. sino ai nostri giorni, che hanno consentito, e ancora possono consentire, di percorrere nuove strade conoscitive sui vari periodi della più antica storia sarda. Ubicato in un territorio ricchissimo di emergenze archeologiche, basti pensare a Perdasì, Perda Lada, Monte Idda, Su Casteddu de Fanari e Mitza Purdia, il sito di Sant’Iroxi era per me una sorta di santuario degli studi al punto che quando qui iniziai gli scavi, mi accarezzava l’idea didedicargli una vita di ricerche e di studi. Non è successo per vari motivi, ma non mi rammarico perché ho comunque realizzato, sia pure con altre indagini, il sogno della mia infanzia di offrire ai posteri qualche briciola di nuova conoscenza. 

In questo sito, come anche nell’insediamento nuragico di Monte Idda, sono state rinvenute numerose spade. Le lame delle armi di Sant’Iroxi sono in gran parte integre o quasi, lunghe da cm 27,5 e 77,7 e forgiate rispettando l’unità di misura di cm 5,5, in linea con l’unità di peso nuragica di grammi 5,5, la stessa che si riscontra in ambito egeo e microasiatico. Le robuste spade trovate nella tomba ipogeica (domu de jana) di Sant’Iroxi, simili a quelle di El Argar in Spagna, sono le più antiche del Mediterraneo occidentale e si datano al sec. XVII a.C. Lo stesso tipo di arma persiste in piena età nuragica. 

– Armi, fortificazioni, navi. Quale era il ruolo dei Sardi nella seconda metà del II millennio a.C.?

Il ruolo storico dei Sardi nella seconda metà del II millennio a.C. è riflesso dalle vicende degli Shardana. I documenti scritti egizi, ugaritici e ittiti trattano con frequenza dei Popoli del mare. Oggetto di studio da ormai molto tempo, a partire dalla scoperta dei geroglifici con Champoillon, essi sono noti soprattutto per le guerre combattute tra il XIII ed il XII secolo prima di Cristo insieme a genti del Nordafrica contro il grande regno d’Egitto e l’impero di Hatti (esteso tra l’attuale Turchia e la Siria). Fu uno scontro epocale, i Popoli del mare, per lo più provenienti dall’Ovest del Mediterraneo, sconfissero i grandi regni dell’Est, e portarono all’avvio del libero commercio sul mare e alla nascita della proprietà privata.

Gli Shardana erano alla guida della confederazione dei Popoli del mare e non a caso furono i primi e anche gli unici per oltre due secoli, a comparire ni documenti epigrafici e iconografici. Appaiono nei testi e nei rilievi egizi già nella prima metà del XVsecolo a.C. quando sono ritratti nelle tombe dei visir di Qurna a Tebe mentre recano doni ai faraoni Hatshepsut, Tuthmosis III e Amenophi II e nello stesso periodo, e ancora al tempo di Amenophi IV, per conto degli Egizi essi svolgevano compiti di guardie dei principi e di istruttori e comandanti militari nelle guarnigioni di Biblo in Libano, Ugarit in Siria e aa Efeso Arzawa (Caria, in Turchia), come emerge da iscrizioni su tavolette di queste città. Agli inizi del sec. XIII furono arruolati in gran numero nell’esercito del faraone Ramesse II per combattere contro gli Ittiti ma poiché Egizi e Ittiti strinsero un patto tra loro e poiché insieme ai Micenei monopolizzavano i commerci dell’Est del Mediterraneo, in particolare il ricco mercato del rame cipriota, gli Shardana furono indotti a combatterli al tempo dei faraoni Merenptah e Ramesse III, nella seconda metà del sec. XIII, alleandosi con genti dell’Africa mediterranea, altre genti occidentali e popolazioni della Grecia (di Tebe della Beozia e Atene). 

– Possiamo affermare che gli Shardana erano gli antichi Sardi?

Certo che si può affermare. Riguardo a questo tema in primo luogo occorre tener conto della piena consonanza dei nomi relativi agli Shardana e ai Sardi. Questi erano chiamati dagli antichi Greci Sardanioi (thymos sardanios già in Omero) e Sardonioi, mentre i Fenici nell’iscrizione di Nora scrivevano il loro nome Shrdn, esattamente con lo stesso gruppo consonantico senza vocali che gli Egizi impiegavano per registrare il nome degli Shardana.

Da varie iscrizioni, in particolare quella della stele II di Tanis, sappiamo che gli Shardana provenivano dalle Isole in mezzo al Verde Grande. Nella stele di Karnak di Tuthmosis III, datata al 1467 a.C. che propone una sorta di mappa del Mediterraneo, queste Isole, da cui provenivano anche altri Popoli del Mare (Shekelesh, Sikel, Dayniu e Weshesh), risultano ubicate a Ovest della Grecia (Hau Nebu), e così le Isole di Utjantiu che stanno agli estremi limiti delle terre occidentali.

I rilievi egizi rivelano che gli Shardana, bruni mediterranei come i Cretesi e gli Egizi, usavano le stesse armi dei guerrieri che dimoravano nei nuraghi nello stesso periodo a giudicare dalle statue dei guerrieri e dai manufatti portati alla luce in Sardegna. Gli Shardana, come i Sardi, sfoggiavano in particolare le spade tipo Sant’Iroxi (almeno inizialmente), lo scudo tondo e l’elmo cornuto, armi che in battaglia non appaiono prima della loro comparsa. Inoltre solo i guerrieri Sardi (ad esempio quelli con scudo oblungo di Monte Prama) vestivano il gonnellino a coda come gli Egizi e gli Shardana dell’età del Bronzo. 

I materiali archeologi della seconda metà del II millennio a.C. importati in Sardegna dall’Est del Mediterraneo (Egitto, Cipro, Creta, Grecia), quali ceramiche, monili in pasta vitrea, manufatti in avorio, lingotti in rame, e i materiali sardi trovati in Sicilia, Creta, Cipro e nello stesso Egitto e nella regione libano-palestinese, quali ceramiche, spade e pugnali in rame, lingotti in piombo, e forse in argento, evidenziano rapporti intensi tra la Sardegna e l’Est del Mediterraneo. Va aggiunto che non siamo in presenza di soli scambi commerciali poiché le ceramiche tipiche sarde prodotte con argille cipriote o cretesi, rivelano che i Sardi risiedevano a Kommòs in Creta, a Pyla Kokkinokremos e HalaSultan Tekke in Cipro. Soprattutto è palese la coincidenza tra i Sardi e gli Shardana a Pyla Kokkinokremos, una cittadella fondata al tempo in cui i Popoli del Mare attaccarono le terre degli Ittiti tra cui appunto Cipro. Per tale ragione, V. Karageorghis autore delle ricerche a Pyla, come tanti altri studiosi, sostiene decisamente che gli Shardana sono i Sardi.

Non di meno, segnalano vicende militari e fondazioni di colonie dei Sardi nell’est del Mediterraneo le notizie dell’antica letteratura greca, in particolare quella di Diodoro Siculo su Iolao che fa la spola tra la Sardegna e la Grecia al tempo dei primi discendenti di Eracle di Tebe, e quelle di Simonide di Ceo e di Plutarco relative ai Sardi guerrieri del mare che assediarono Creta difesa da Talo, guardiano di Minosse (intorno al 1300 a.C.) e ai Sardi che si insediarono nella stessa Creta e in Laconia intorno al 1190 a.C. al tempo del cosiddetto ritorno degli Eraclidi nel Peloponneso e delle guerre vittoriose dei Popoli del Mare contro l’Egitto e gli Ittiti. In piena sintonia e sincronia, nella citata stele di Tanis del 1287, dunque al tempo di Minosse, Ramesse II dichiarava che la flotta degli Shardana era invincibile sul mare. 

In effetti sono innumerevoli i dati che dimostrano l’identità degli Shardana con i Sardi e vi sono non meno numerose ragioni per scartare ogni altra possibilità di identificare altri popoli con gli Shardana. Mi spiace per qualche collega che ancora non ha gli occhiali giusti per rendersene conto. Non ci sono dubbi sul fatto che gli Shardana erano i Sardi del tempo dei nuraghi: questa non è una teoria, ma una certezza e le ricerche future non faranno altro che confermare questa verità assiomatica.

– Le guerre in Oriente, anche se vittoriose, indebolirono molto gli Shardana. Attorno al X° secolo iniziò invece lo sviluppo della civiltà etrusca. C’è qualche relazione tra i due popoli?

Innanzitutto chiariamo che gli Shardana/Sardi uscirono rafforzati e non indeboliti dalle guerre da essi vinte insieme agli altri Popoli del Mare contro i grandi regni e che, tra il 1220 e il 1180 a.C., si insediarono in diverse regioni dell’Est del Mediterraneo (nel Libano dei Fenici e in Galilea, in Grecia, a Creta e Cipro e verosimilmente sulle coste dell’Anatolia e forse in Tracia e in altre regioni a Nord della Grecia, talora insieme anche ai Popoli del mare Tursha e Peleset, vale a dire gli antichi Etruschi. È una ipotesi senza alcun fondamento che i Popoli del Mare scomparirono dopo lo scontro con l’Egitto o che essi si volsero verso Occidente dopo  gli scontri con gli Egizi e gli Ittiti: essi c’erano già in Occidente perché provenivano dall’Occidente.

Per quanto riguarda la situazione storico-archeologica della Sardegna, solo dopo circa due secoli intorno al 1000 a.C., i nuraghi furono devastati, si smise di costruirne altri e caddero i capi tribali, ma non c’è alcuna relazione diretta con le vicende dei Popoli del Mare. Diodoro Siculo narra che la fine dei re Tespiadi Iolei, cioè i capi tribali, si deve a una sanguinosa lotta interna all’isola al seguito della quale i capi tribali, sconfitti dagli “aristoi”locali, si rifugiarono nei dintorni di Cuma e in altre località della penisola italiana. Allora infatti, secondo lo stesso Diodoro, furono costruiti i dikasteria, da riconoscere nelle sale rotonde del Consiglio degli anziani (gli aristoi, i migliori) che eleggevano i dikastes, cioè i giudici, alla guida delle comunità locali. Possiamo pensare dunque che una parte della popolazione sarda al seguito dei capotribù fuggitivi sia giunta anche in Etruria e abbia contribuito al suo sviluppo culturale prima della colonizzazione fenicia e greca in Occidente.

Le ricerche di Massimo Pallottino hanno chiarito da tempo che l’origine degli Etruschi è autoctona, ed è palese che alla fine del Bronzo finale e agli inizi del I Ferro (fra il 1000 e il sec. VIII a.C.) tra i Sardi e gli Etruschi si stabilirono rapporti molto stretti. Numerosi reperti attestano legami profondi tra i due popoli, ma non sappiamo ancora la natura delle tracce insediative scoperte a Tavolara, legate se non altro agli scambi. Attendiamo una pubblicazione completa della interessante scoperta ma, per quanto ne so, siamo ancora nel campo delle ipotesi. Quello di Tavolara potrebbe anche essere un piccolo nucleo insediativo di Etruschi di origine sarda, di Sardi di ritorno. Infatti, sappiamo da Festo che il lucumone di Veio era sardo e che nella stessa Roma regia i guerrieri sacerdoti Salii, danzavano con lo scudo oblungo come i guerrieri-sacerdoti trovati a Monte Prama e praticavano riti di fine anno che ricordano quelli dei Mamuthones. Certamente gruppi di Sardi si recarono e talora abitarono in Etruria. Va ricordato che la città etrusca (villanoviana) di Populonia presso Piombino fu fondata da Corsi che dobbiamo riconoscere nei Corsi della Gallura, poiché vi sono stati trovati molti manufatti sardi del I Ferro. 

– È evidente che gli Shardana avevano rapporti culturali e commerciali di notevole entità nel Mediterraneo orientale e persino nel Nord Europa, ma è credibile che essi e dunque i Sardi non scrivessero?

Dobbiamo tener presente che, a differenza di altre realtà dell’Est del Mediterraneo, al tempo dei nuraghi nella Sardegna non c’era un governo unico e accentrato nelle mani di una singola persona, come nei grandi regni. Non c’erano grandi città come quelle regie o principesche dell’Egeo e dell’est del Mediterraneo in genere. Nell’isola la ricchezza era distribuita in migliaia di piccoli centri e nuraghi. La scrittura normalmente viene utilizzata in primo luogo per registrare gli enormi beni dei palazzi regi e nell’isola non c’era questa esigenza. Attualmente le prime forme di scrittura accertate su manufatti sardi sono del IX-VIII secolo a.C., e risalgono dunque al I Ferro, dovendosi verosimilmente ai contatti con i Beoti, gli Euboici e i Fenici. Sono attestati anche segni di scrittura di origine cipriota che potrebbero risalire anche al secolo X-XI, cioè al tempo in cui gli Shardana, cioè i Sardi, si insediarono nell’Est del Mediterraneo. Prima, nell’età del Bronzo, in Sardegnaerano noti soltanto i segni di scrittura sillabica minoico-cipriotanei lingotti di produzione cipriota, dunque d’importazione ma non sono affatto una prova che i Sardi del tempo dei nuraghi scrivessero. Assai più probabile è che, diversamente, parlassero più lingue, considerate le molteplici relazioni. Ciò è in piena sintonia col fatto che neppure gli Shardana avevano corrispondenze scritte con altri popoli che usavano la scrittura, come gli Egizi, gli Ugaritici, i Cananei, i Ciprioti, i Cretesi e gli abitanti della Caria, con i quali essi intrecciavano relazioni. 

Sono del parere che in Sardegna troveremo iscrizioni risalenti al VII-VI secolo, come avviene in Etruria e in altre regioni occidentali, quando si scopriranno i contesti funerari e sacri di questo periodo. Dobbiamo avere fiducia in prossime scoperte sulla scrittura nell’età del Ferro. Il discorso vale anche per gli approdi sul mare perché sono interrati sotto alcuni metri dal livello attuale delle acque, alla distanza di qualche centinaia di metri dalle coste. Di certo, le insenature sulle coste dove potevano attraccare le navi erano ben sorvegliate dai nuraghi. 

 

 

 

La Dea Madre. Foto Carlo Manca

Una ricostruzione de “Su Casteddu de Fanadi”

 

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