Tav e giustizia, il governo si spacca. Di Maio: “Salvini è come PD e affaristi francesi”, Salvini: “La riforma Bonafede fa acqua”
di Francesca Matta
Ci risiamo. Il governo gialloverde si divide, ancora una volta, sull’agenda politica. Per il Ministro del Lavoro Luigi Di Maio la Tav non si deve fare, è una grande opera inutile che va contro l’interesse degli abitanti della Val di Susa. E infatti proprio nella valle la risposta non s’è fatta attendere e gli attivisti sono già pronti a un altro, gravissimo, scontro con le forze dell’ordine che presidiano l’area interessata alla costruzione del treno ad alta velocità.
La battaglia del movimento “No Tav” è una battaglia che il Movimento 5 Stelle ha voluto abbracciare fin da subito, nel lontano 2009, quando si era dichiarato apertamente contro la costruzione dell’opera. E l’allora leader di un movimento ancora agli esordi, Beppe Grillo, aveva dato man forte dal palco dei suoi “V-Day”, contestando l’utilità dell’opera e il danno ambientale che avrebbe provocato all’intera valle e ai suoi abitanti. Gente di montagna, abituata com’è tutt’ora a vivere tra i sentieri silenziosi e gli orizzonti sospesi. A quel tempo, se eri per i Cinque Stelle, sicuramente eri contro la Tav.
Ci aveva marciato sopra persino la prima sindaca pentastellata di Torino, Chiara Appendino, promettendo lo stop ai lavori. Ma così non è stato. Perché le cose sono cambiate, oggi Cinque Stelle e Lega sono partner di governo e devono, volenti o nolenti, trovare un accordo. Su tutto. Anche sulla Tav. Si era detto che, in un modo o nell’altro, l’accordo ci sarebbe stato, ma oggi il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, forte del suo consenso sempre crescente nei sondaggi (38% ad oggi), rincara la dose e non ne vuole sapere di bloccare l’opera. Una posizione condivisa persino dagli esponenti del PD, avversari politici, che spingono sul 50% del finanziamento dell’opera promesso dall’Ue e sull’ultima analisi costi-benefici in cui si evince che sarebbe più costoso abbattere l’opera invece di proseguire.
A conti fatti, quindi, la battaglia si è trasformata in una questione puramente politica, che ha molto a che fare con il tratto ambientalista che il Movimento si porta dietro da sempre. E oggi lo rivendica a gran voce, e a ragione, se è vero che siamo in piena emergenza climatica e una delle prerogative che le forze politiche – di qualsiasi parte siano – dovrebbero tenere nella top 3 delle “cose da fare”.
D’altra parte c’è Matteo Salvini che non è affatto convinto della riforma della giustizia proposta dal Guardasigilli Alfonso Bonafede. “Con tutta la buona volontà che ci ha messo il ministro – commenta puntuale Salvini – è una riforma che fa acqua”. E proprio per questa ragione, è stato sospeso il Consiglio dei ministri convocato nel pomeriggio per trovare una quadra. Negli stessi minuti arriva il commento del ministro pentastellato: “È una riforma epocale della giustizia. Che sanziona i magistrati che perdono tempo e riduce drasticamente i tempi dei processi civili e penali rilanciando investimenti e crescita. Basta indagati a vita, chi sbaglia paga e subito. Basta aspettare anni prima di essere risarciti. Basta con le spartizioni di potere al Csm. Mi auguro che nessuno pensi di bloccarla, sarebbe un grave danno al Paese”.
Ma ad appoggiare il leader della Lega c’è anche il Ministro per la Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno, avvocato. La riforma, a detta del ministro, non incide effettivamente sui tempi dei processi civili e penali (i sei anni previsti sarebbero troppi), mancano regole rigide sul sistema d’accesso alla magistratura, a cominciare dai concorsi. Se Bonafede vorrebbe cancellare l’obbligo di un corso di perfezionamento post laurea per accedere al concorso, Bongiorno al contrario chiede più severità. Come più drastiche dovrebbero essere le regole per i passaggi di carriera e soprattutto il sistema degli illeciti disciplinari che, come prima cosa, dovrebbero riguardare l’efficienza effettiva dei magistrati rispetto allo smaltimento dei processi.
Quel che più preoccupa Salvini, però, è la “riforma della prescrizione”, già approvata dalla legge Spazzacorrotti di Bonafede, in vigore dal gennaio 2019, che prevede la sentenza di primo grado come quella definitiva. I leghisti si sono messi di traverso sin dal primo momento, e con la minaccia di bloccare l’intera legge, sono riusciti a vincolare l’entrata in vigore della prescrizione al gennaio 2020, solo dopo l’approvazione di una ulteriore legge di riforma del processo penale. Quella di cui si sarebbe dovuto discutere oggi.