La vita che riprende dopo le prescrizioni anti-Covid: intervista alla consigliera regionale Maria Laura Orrù

Intervista a Maria Laura Orrù, ingegnere edile-architetto,

consigliera regionale della Sardegna per la XVI Legislatura

e membro del gruppo consiliare dei progressisti

 

di Alessandra Frongia

 

Quanto la tua professione, inteso come competenze e bagaglio tecnico, influisce nel tuo impegno politico ora che il tema principale su tutti i fronti è il Covid e tutto ruota intorno a esso?

Ognuno di noi si porta appresso le conoscenze e le competenze che ha maturato attraverso gli studi, la professione, l’applicazione. Mi aiuta molto aver fatto determinati tipi di studi e soprattutto aver lavorato, aver visto e vissuto i problemi e le problematiche in maniera quotidiana, e ovviamente porto con me il mio bagaglio personale di esperienze che per me è fondamentale. Quando si ha un ruolo istituzionale come quello che sto affrontando adesso, è meglio mettere in standby la propria professione e dedicarsi prevalentemente a fare bene il consigliere regionale. In questo periodo storico, con il Covid di mezzo è chiaro che è ancora più impegnativo, nel senso che ci sono delle priorità da provare a risolvere, e occorre dedicarsi a quello. Ne deriva un lavoro politico che sul piano dell’ impegno risulta essere totalizzante, proprio per cercare di fare il meglio possibile.

Le prescrizioni anti-Covid hanno favorito oppure rallentato i meccanismi per migliorare la vita, le relazioni e le infrastrutture della società?

Intanto è chiaro che il Coronavirus e tutto quello che ne è conseguito, quindi la pandemia ecc., hanno determinato due questioni fondamentali: la prima era che è stato inaspettato per tutti, anche per chi doveva governare i processi. Si è cercato di gestirlo a livello istituzionale nel miglior modo possibile, certo alcuni meglio, altri peggio. D’altronde si era di fronte a qualcosa di inaspettato. Per quanto riguarda la società, all’inizio proprio perché si trattava di qualcosa di nuovo, ha comportato uno stato di paura, di agitazione, etc., che si è tradotto con alcuni cittadini che hanno rispettato in maniera precisa le regole e altri che hanno iniziato a fare dei ragionamenti un po’ fai da te, e ciò  ha determinato uno scontro tra parti sociali, da una parte le più fragili, attente, preoccupate e volenterose anche di uscire il più velocemente altri che partivano dall’assunto che fosse tutto un po’ montato e hanno fatto il contrario di quelle che erano le prescrizioni. Poi si sono create delle contrapposizioni di tipo sociale tra lavoratori perché bloccando alcuni sistemi di lavoro, soprattutto quelli privati si è entrati in difficoltà.

Come si è intervenuti?

 Lo Stato, il Governo, i Governi in genere hanno cercato di dare delle risposte anche immediate con dei sostegni, anche se nonostante tutto è stato molto difficile per le persone affrontare il tutto. In più c’è un problema gigantesco, perché in pochi, pochissimi si sono preoccupati delle generazioni più piccole, dei piccoli, dei giovani, e questo può determinare un problema sociale nel prossimo futuro. Non è facile rispondere a questa domanda nel dettaglio, dipende da noi, dai cittadini, dalle risposte che a livello istituzionale si riescono a dare per risollevare il sistema.

Quali sono le strade percorribili?

Penso che dalle crisi come queste, di tipo pandemico, dopo uno scossone così grande ci sono due strade: o quella di rimettersi in sesto con una visione nuova di Stato o comunque di regione per quanto riguarda la Sardegna, oppure se si continua a guardare al passato e pensare che si debba tornare alla normalità. Non potrà essere una normalità come quella di prima, anche perché causa del problema è stata questa normalità, questo abuso nell’utilizzo di tante cose, e la crisi sanitaria è strettamente collegata, a mio avviso, alla crisi ambientale e sociale che stiamo vivendo. Crisi che ha messo in discussione i modelli economici, che abbiamo visto, non hanno retto. Serve uno sforzo collettivo per guardare al futuro in modo totalmente diverso. Le risorse ci sono, sono state messe in campo dall’Europa e dagli Stati, e è importante che questo sforzo venga fatto adesso e non si operi come si è sempre fatto per lavorare in chiave assistenzialistica, si è sfruttato il lavoratore e si sono sfruttate le categorie ecc. Secondo me è davvero importante guardare con occhi nuovi al futuro e provare a dare un insieme di società diverso mettendo tra l’altro i giovani e i bambini nelle condizioni migliori perché sono stati trascurati per troppo tempo.

Le prescrizioni anti-Covid hanno avuto una portata enorme sullo sport e sulle attività ricreative e soprattutto sul settore lavorativo che orbita sullo sport, la salute e il benessere. Si è parlato del settore ristorazione e spettacolo, riguardo allo sport quale è la tua opinione di sportiva?

Lo sport, che in teoria è divisibile in tre grandi categorie, professionisti, agonisti e amatori. Gli sport professionisti dove girano tanti soldi e interessi sono andati avanti anche perché avevano gli strumenti per gestire il caso. Anche negli sport minori si è cercato di andare avanti, il problema a mio avviso è stato soprattutto con la gestione di tutte le altre discipline, principalmente per i bambini e gli adolescenti. Spesso hanno dovuto cercare uno sport all’aria aperta e individuale, quindi c’è stata una netta divisione tra le varie discipline sportive, giusta in alcuni casi eccessiva in altri. Però penso che lo sport e le attività ricreative erano e sono quelle attività che consentono soprattutto alle fasce più piccole della popolazione di andare avanti, avere una speranza, soprattutto mantenersi in forma, in salute e principalmente non consentire a ai piccoli di stare attaccati al pc ventiquattrore su ventiquattro. Secondo me un’attenzione in più per questo tipo di attività, considerando il fatto che le strutture sportive da noi sono poche e carenti, ha messo in crisi tutti quanti. Penso che in questo momento post Covid e quando si uscirà dalla crisi sanitaria sia necessaria una riflessione in termini di impianti sportivi all’aperto da dare alle associazioni, un esempio su tutti, il numero delle persone che possono partecipare alle attività.

Come ritieni si possa migliorare l’approccio alle discipline sportive?

 Poiché poi lo sport è ancora visto da molti non una attività lavorativa ma in chiave di volontariato, andrebbe fatta una riflessione anche in questo senso, per rappresentare anche la categoria nascente dei lavoratori in questo settore . Credo che le persone abbiano capito quanto sia importante l’attività all’aria aperta, anche alcune idee che si sono create nel tempo come “che i bambini vadano iperprotetti”, sono state riviste, e lo sport all’aria aperta anche nei periodi invernali (certamente da noi, non in posti dove il clima è più rigido) aiuta. Lo sport è sempre fondamentale nella vita di tutti, importante farlo, è preventivo, è aggregante, soprattutto per i giovani.

In quale modo si è intervenuti e come si sarebbe potuti intervenire?

Si è intervenuti a sostegno delle associazioni sportive, e sono felice che sia accaduto. Ciò detto è vero che per le associazioni è stato difficile e complesso. Nel mio piccolo, noi abbiamo cercato di fare un lavoro con i bambini e con i ragazzini, perché sapevamo che dovevamo dare un servizio a quelle persone che erano già in grossa difficoltà stando molte ore in casa e in didattica a distanza. Abbiamo cercato di offrire un servizio nonostante le carenze, le difficoltà organizzative, con le dovute precauzioni, e abbiamo guardato al bene dei ragazzi. Alcune categorie sono state penalizzate eccessivamente, ad esempio le piscine, anche con i protocolli federali che erano chiari, si sarebbero potute fare attività di contorno senza contatto. In effetti ci si è trovati di fronte a qualcosa di ignoto e si è cercato di affrontarlo al meglio.

I danni all’economia sono stati inimmaginabili, quali interventi si potrebbero attuare nell’immediato?

Dal punto di vista economico è successo qualcosa di sconvolgente, il modello che si è portato avanti non ha retto più di tanto e ha portato a galla tutte le lacune del sistema, e per questo è necessaria una riflessione profonda per capire in che direzione vogliamo andare e che tipo di modello vogliamo portare avanti nel futuro. Io penso che tutto debba nascere mettendo al centro la persona e quindi considerando il welfare, le politiche sociali, le politiche attive e tutto ciò che riguarda il vivere bene delle persone debba essere messo al centro dei ragionamenti per un nuovo sviluppo economico. E ovviamente al centro ci deve stare l’ambiente, il clima, e non possiamo pensare in questo processo di transizione ecologica di fare gli errori che si sono fatti nel passato. Perché va bene la transizione ecologica ma va fatta con intelligenza e nel rispetto dei territori. Faccio un esempio: non è pensabile che alcuni territori debbano essere usati e sfruttati più di altri per restituire quel valore che si cerca per uscire dalla crisi ambientale attuale. Occorre fare un grande lavoro culturale e sensibilizzare moltissimo le persone a dare un contributo attivo, pensare e ripensare le città in funzione della sostenibilità, dei mezzi alternativi, della sicurezza.

Un tema su cui ti stai battendo riguarda la sostenibilità, l’energia e un progetto da portare avanti per la nostra regione. Il Covid ci spinge a una riflessione e a agire anche su questo fronte?

 L’’energia, è un tema di cui si parla tanto, ma al cittadino arriva poco, si parla di energia green, ma poi non si rispettano i territori. Non è pensabile che solo la Sardegna, ad esempio, diventi l’unico luogo dove si produca energia da solare e da eolico per tutti quanti sfruttando il territorio a 360 gradi. Serve un ragionamento e soprattutto un piano dove si indichino le zone idonee e non idonee, per non snaturare l’essenza dei luoghi e perché vanno considerati i problemi che ne possono derivare. Ognuno, ogni regione deve assumersi un pezzo di questa transizione ecologica, e non ricada tutto su uno stesso territorio. Non può ritornare questa falsa contrapposizione tra il diritto al lavoro e il diritto a avere un ambiente sano e respirare un’aria pulita e a rispettare il paesaggio, le due cose devono camminare di pari passo.

La Sardegna ha una posizione ottimale al centro del Mediterraneo, e l’insularità che spesso ci ha danneggiato, avrebbe potuto essere e potrebbe ancora essere un vantaggio, ci sono programmi o proposte o anche solo idee in tal senso?

La Sardegna ha un territorio con caratteristiche di insularità e paesaggistico particolari. Le bellezze paesaggistiche e ambientali, archeologiche dovrebbero essere messe a sistema. Per questo il turismo dovrebbe essere non aggressivo e dovrebbe essere organizzato per valorizzare anche l’interno e le nostre produzioni. Verso un turismo sportivo e non solo culturale e costiero. Poi c’è il grandissimo tema dell’agricoltura, abbiamo dei terreni ancora molto produttivi che possono dare tantissimo e che dovrebbero essere utilizzati per le colture tipiche del luogo e della Sardegna, e della pastorizia. Su questo dovrebbe essere fondata la nostra economia, felice, sostenibile, che restituisca alla Sardegna il suo ruolo.

Vedo nella gente tanta voglia di vivere e penso sia positivo; vedo anche tanta incoscienza. C’è richiesta di inclusività, tolleranza, body positivity e apertura. Che pensiero hai a riguardo, e secondo te come possiamo fare dei passi avanti?

Per quanto riguarda ultima domanda che è abbastanza complessa, io penso che nella società esistano varie sfaccettature. Vedo nei giovani e nei giovanissimi una presa di coscienza collettiva su alcune questioni che sono le questioni sui diritti, perché le piazze che vengono popolate ad esempio, quella del pride, le manifestazioni ambientali, black lives matter, sicuramente ci stanno dicendo qualcosa. I giovani ci stanno urlando qualcosa, abbiamo bisogno di una società inclusiva, che non ci divida e non ci contrapponga.  Cercano di dire insieme nel rispetto collettivo possiamo andare avanti e in maniera migliore, e secondo me purtroppo chi governa i processi non li ascolta con il giusto peso che dovrebbero avere.  Noi abbiamo consumato e stiamo consumando il loro futuro convinti di dare delle risposte, che però non stiamo dando. Serve ascoltarli, capire come vedono loro il futuro, per andare in quella direzione. Per portare avanti la società che loro vedono e desiderano. Noi non dobbiamo ritornare alla normalità di prima, noi dobbiamo capire che non dobbiamo ripercorrere gli errori ma andare oltre verso una nuova visione.

 

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