Salute mentale, disuguaglianze e carcere

 

di Giuseppe Giuliani

 

«Anziano, malato, deviato, richiedente asilo: dove lo mettiamo?»

 

La domanda con cui Roberto Loddo, attivista dell’Asarp, Associazione Sarda per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica, ha aperto il confronto nell’aula consiliare del Comune di Assemini su “Salute mentale, disuguaglianze e carcere”.

Il confronto, voluto dall’amministrazione comunale, rientrava nel programma  del “Mese dei diritti Umani” e Assemini è stato l’unico comune sardo ad aderire alle iniziative.

La domanda è quella che normalmente si fanno le istituzioni e, troppo spesso, ha proseguito Loddo: «la risposta è una gabbia, un contenitore». 

Tanti temi, forse troppi per essere trattati tutti assieme, ma hanno un denominatore comune: quello di essere spesso ignorati nei dibattiti pubblici. Lo stigma che si portano appresso la malattia mentale, il carcere e a volte anche le semplici difficoltà economiche spingono la comunità a una risposta severa, spesso punitiva, talvolta “solo” menefreghista.

«Per quanto riguarda il carcere, il problema nasce all’origine, prima dell’esecuzione della pena, il soggetto con problemi mentali viene vissuto come un aggravio». Lo  ha spiegato Francesco Murtas, assessore allo Sviluppo Economico di Assemini, in questo caso soprattutto avvocato. 

Il paradosso è che l’imputato con sofferenza mentale viene trattato come tutti gli altri, la sua patologia non è compatibile con la vita in una cella, ma fuori «la comunità vuole giustizia».

Una giustizia che guarda solo in una direzione, ignorando i dettami dell’articolo 27 della Costituzione: …le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Antonella Mostallino, assessora alle Politiche sociali di Assemini, ha spiegato che l’intenzione dell’amministrazione è quella di intervenire  fortemente sulla carenza di servizi territoriali nell’ambito della sofferenza mentale. 

I giudizi più duri sono arrivati nel corso della serata per le strutture con 40-70 posti letto per affrontare i problemi dei malati psichiatrici. Una scelta che anche la Regione Sardegna ha operato, è recente l’inaugurazione di una struttura a Sestu, e che trova opposizione in molti addetti ai lavori. 

Antonio Esposito, ricercatore indipendente, giornalista e scrittore chiede: «È possibile che la risposta alla sofferenza sia l’ennesima scatola?». 

Le persone con sofferenza mentale hanno diritto di cittadinanza, cioè devono godere degli stessi diritti di tutti gli altri, invece sono molte le ingiustizie in questo senso e sono troppi i casi di pazienti psichiatrici morti dopo essere stati legati a un letto. Esposito ha ricordato Giuseppe Casu, l’ambulante quartese, deceduto nel 2006 nel reparto di Psichiatria del Santissima Trinità di Cagliari, dopo essere rimasto legato al letto per una settimana: «Sarebbe bello se Assemini dedicasse una targa a Casu».

Lo psichiatra Giorgio Seguro ha lavorato al centro di salute mentale di Assemini dal 2012 al 2022, sia nell’ambulatorio psichiatrico che nel centro diurno: «Si lavorava sotto la supervisione di Peppe Dell’Acqua, già collaboratore di Franco Basaglia. Nel centro diurno si cercava di creare relazioni, di medicine si parlava da altre parti. Ho conosciuto anche queste megastrutture dove il farmaco la fa da padrone».

Per Seguro manca la risposta della politica, o meglio la risposta non è adeguata: «mancano centri di aggregazione per i giovani,  per gli anziani, per contrastare la solitudine. Per i migranti non si sente mai parlare di integrazione». 

Paolo Mocci, garante per i diritti dei detenuti di Oristano, ha ricordato che anche chi sta in carcere ha diritto a pari dignità sociale e che l’insicurezza chiede il carcere come risposta.   

Gisella Trincas, presidente dell’Asarp, ha spiegato che le persone che vivono la sofferenza mentale devono potersi riappropriare della propria vita, devono avere la speranza di un miglioramento. E ha aggiunto che servono centri di salute mentale diffusi sul territorio e aperti 24 ore su 24. Servono possibilità di contatto e possibilità di lavoro, tutto deve essere fatto in collaborazione con le famiglie: «abbiamo bisogno di piccole strutture nei quartieri dove viviamo, non di megastrutture nella zona industriale di Sestu». 

Con Claudia Zuncheddu della Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica si è ritornati alla questione carcere con il caso di Beniamino Zuncheddu, scoperto innocente dopo 33 anni di detenzione, per quello che si avvia a essere il più grande errore giudiziario della storia.  

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