Scuola di teatro, scuola di vita


Come “fare” teatro possa avere un grande influsso anche sulla nostra vita personale. Evidenziando, chiarendo e rendendo consapevoli aspetti sconosciuti o latenti della nostra personalità.

Dopo l’inaugurazione del nuovo Circolo Gramsci di Decimomannu e la grande sorpresa dei partecipanti per la presentazione di una pièce teatrale di Jean Tardieu, mi si chiede di spiegare meglio come il teatro possa innestarsi efficacemente nel tipo di attività che il Circolo Gramsci intende portare avanti.

Partiamo da qui: giorni fa, guardando distrattamente un programma televisivo nazionale, mi imbatto nell’intervista ad una delle più grandi attrici di cui l’Italia possa menare vanto, Mariangela Melato. L’intervistatore chiedeva all’attrice di spiegare il suo rapporto col teatro, come questo abbia cambiato la sua vita, le difficoltà, le gioie. Dopo aver detto, in sostanza, gran parte delle cose che dirò di seguito, la Melato conclude: “Mi ha reso una persona migliore, sì… una persona migliore”.


Gianni Rallo durante la presentazione di una pièce teatrale. Foto T. Fenu

È proprio il punto a cui voglio arrivare. 

Intanto va sottolineato che limitarsi a “guardare” un qualsiasi spettacolo è una cosa, “fare attivamente” quello stesso spettacolo è tutt’altra cosa. Scendere in campo richiede sempre più energie e capacità che limitarsi a “guardare” altri che agiscono.

Ai primi del ‘900 l’attore-regista Konstantin Stanislavskij (1863-1938) mise a punto un metodo di formazione attoriale basato sull’immedesimazione: l’attore deve “diventare” il personaggio che impersona, a tal punto da provare le stesse sue emozioni. Scrisse quindi in due tempi due celebri manuali: “Il lavoro dell’attore su se stesso” e “Il lavoro dell’attore sul testo”.

In un primo tempo l’aspirante attore deve imparare a memorizzare alla perfezione il copione; a gestire l’emissione vocale in potenza, quantità e qualità; a conoscere le dinamiche comunicative, fisiche ed emotive, dell’essere umano; le possibilità di movimento, anche estremo, del proprio corpo; imparare a fidarsi degli altri attori con cui lavora, e molto altro ancora: sulla scena, ogni attore “vibra” in conseguenza delle “vibrazioni” altrui e reagisce di conseguenza.

Ecco perché non ci saranno mai due recite dal vivo identiche, anche se gli attori sono gli stessi (il cinema congela un’unica prestazione per l’eternità, perdendo molto del fascino teatrale). Questo lavoro si articola in diverse materie di studio e dura anche anni.

In secondo tempo gli attori lavorano, singolarmente e collettivamente, sul testo. Ogni testo, anche il più semplice, è ricco di sottotesti, sfumature emotive, “intenzioni” implicite od esplicite che devono essere gestite con voce e corpo. Proprio come accade nella vita quotidiana, ma allo stesso tempo non c’è niente di più difficile del trasformare il “quotidiano” in “teatrale”, il “banale” nell’”eccezionale”: questo è propriamente uno degli obiettivi della recitazione. 

E qui veniamo all’utilità formativa del teatro.

Le arti trattano tutte, ognuna col suo proprio linguaggio, i grandi temi/misteri della vita umana (come, d’altronde, la filosofia, la sociologia o la politica) e cercare di capire e trasmettere i significati che gli autori intendono far passare con le loro opere è lavoro durissimo che deve essere inizialmente guidato (a evitare fraintendimenti, banalizzazioni, grossolani errori o distorsioni) per poter appunto restituire agli spettatori i significati e le emozioni “originali” del testo. Lasciamo stare il fatto che, spesso, la regia “riscrive” il testo offrendo interpretazioni e significati diversi, nascosti o possibili, facendo del regista un artista egli stesso.

Questo incessante lavoro di dialogo dell’attore col testo finisce per essere un dialogo con se stessi, con la propria sfera emotiva ed intellettuale, con la propria responsabilità espressiva e coi propri limiti, col proprio nuovo desiderio di conoscere oltre, da cui scaturisce un senso critico più acuto e aperto all’ascolto. Il senso critico nasce spesso proprio dalla profonda consapevolezza della relatività di ogni conoscenza umana, soggetta a continui aggiustamenti e approfondimenti; che non esiste una sola verità, ma tante verità quanti sono i personaggi da interpretare, nel caso dell’attore.

Non è possibile, dopo questo lavoro, non risultare una persona “migliore”, rispettosa delle sensibilità altrui, umile al punto da non abbandonarsi alla pura tecnica di scena ma mettendo in gioco la propria persona sul palcoscenico, desiderosa di ulteriori apprendimenti/riflessioni sui misteri della vita, della propria e, coralmente, degli altri. Un attore che porti nella sua memoria i copioni recitati è come un libro che, anziché aspettare d’essere letto, si prenda la briga di leggersi da solo, sera dopo sera, emozione dopo emozioni, lacrima dopo lacrima.

Nella consapevolezza di quanto questo percorso sia salvifico e profondamente migliorativo per chiunque voglia mettersi in gioco, noi della Compagnia (In)Stabile di Sardegna proporremo corsi di recitazione (ovviamente brevi e semplificati) e corsi di messa in scena, per permettere ai partecipanti di esibirsi in pubblico.

I dettagli per la messa in opera di questi corsi verranno resi noti quanto prima.

 

Gianni Rallo

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