Viaggio a ritroso

di Giancarlo Pillitu

 

Appartiene alla tradizione filosofica il compito di tracciare un percorso virtuoso dall’ignoranza alla conoscenza, dalle tenebre alla luce, dall’opinione alla verità, dal mondo sensibile al mondo intelligibile. Da Platone a Hegel, ma si potrebbe partire almeno da Parmenide, viene descritta una via ascendente, di cui il “ritorno” all’Uno di Plotino e la “risoluzione del finito nell’infinito” di Hegel costituiscono passaggi emblematici.

Tuttavia, il Cristianesimo sembra aver invertito la rotta, introducendo la possibilità di una via discendente, fondata sul concetto di kènosis, ovvero di “svuotamento” degli attributi divini di Cristo, per spiegare l’evento dell’incarnazione.

Il poeta triestino Umberto Saba, nella poesia “Città vecchia” (1912), sembra ispirarsi alla seconda via per testimoniare il proprio percorso catartico. Saba ci descrive un singolare viaggio di purificazione del pensiero. Una discesa agli inferi, piuttosto che un’ascesa sino alle idee dell’iperuranio.

Ma com’è possibile convertire la salita nella discesa, l’infinito nel finito? Occorre forse compiere un’inversione topologica e assiologica, dove il basso sostituisce l’alto e viceversa? La parola chiave per comprendere questa “rivoluzione copernicana” sembra essere “umiltà”. Il poeta, nell’attraversare la “città vecchia”, della sua amata Trieste, per fare ritorno a casa, si mescola con un’umanità derelitta e turpe, ritrovando così “l’infinito nell’umiltà”:

Qui tra la gente che viene che va

dall’osteria alla casa o al lupanare

dove son merci ed uomini il detrito

di un gran porto di mare,

io ritrovo, passando, l’infinito

nell’umiltà.

La turpitudine di questa umanità, intesa come deformità morale ed estetica, non ne cancella l’umiltà, anzi sembra esaltarla. Infatti, nel turpe l’umiltà si trova a coincidere pienamente con la vita e con il dolore, e persino con la conseguente bassezza morale. In tale tumulto, in cui l’umiltà si anima e diventa vitale, freme l’infinito, la verità o, per Saba, Dio:

Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.


Ma come può l’umiltà accedere all’infinito?

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.

La purificazione del pensiero avviene per sottrazione. Il punto d’arrivo è quindi il gradino più basso, il grado zero del pensiero, ovvero l’umiltà, il riconoscersi, in senso letterale ed etimologico, nell’humus, nella terra.

Il “turpe” funge da strumento di sottrazione e di azzeramento di tutto ciò che ostacola la purezza del pensiero, abbattendo i falsi e fuorvianti canoni del buono e del bello, sia dal punto di vista morale, presentandosi come vergognoso, offensivo, sconcio, sia dal punto di vista estetico, manifestando i caratteri del brutto.

Il turpe è il deforme che purifica. Perché nella deformità, morale ed estetica, risiede la purezza. A necessitare di purificazione sono, in modo particolare, le nostre convinzioni morali, che ci rendono facili all’offesa quando ci troviamo di fronte ad espressioni dell’umano che ci appaiono lesive della nostra dignità, che ci sembrano compromettere la nostra onestà, il nostro senso del pudore. Rifiutiamo tali manifestazioni dell’umano come immonde, indegne della nostra attenzione, ripugnanti. Ma, in questo modo, dimentichiamo la loro radice umana. Esse sono, in realtà, quanto di più mondano e degno di stare al mondo esista. Multiformi rimodulazioni dell’umiltà, di ciò che parte dal basso, dalla terra, dall’assenza di sovrastrutture etiche ed estetiche.

Alla purificazione ascetica Saba contrappone una purificazione kenotica, che procede per svuotamento. Ricorrendo al turpe – ovvero a ciò che non solo è sconveniente dal punto di vista morale, ma anche brutto dal punto di vista estetico – Saba capovolge la gerarchia dei valori, trovando l’infinito nel finito e non, hegelianamente, il finito nell’infinito.

Nella via discendente verso la verità, il turpe corrisponde al sublime della via ascendente. Entrambi, il turpe e il sublime, sono sub-limes, sotto la soglia. Il sublime è sotto la soglia del punto più alto, dell’infinito, dell’Uno di Plotino; il turpe è sotto la soglia, al di qua, del punto più basso, dell’humus, della terra, della materia informe. Il turpe, come il sublime, scaturisce dalla decostruzione delle forme del bello e del buono.

L’illuminante poesia di Saba ci insegna a perderci nella “città vecchia” del mondo, per ritrovare noi stessi e la nostra vera casa in un’età di crisi e di smarrimento.

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