Cagliari, al via il “LEI Festival”: tra gli ospiti Galimberti, Lerner e Bartezzaghi

di Francesca Matta

Che cos’è l’equilibrio? Come fare a raggiungerlo? È questo il tema della quarta edizione del “LEI Festival”, iniziativa organizzata dal gruppo teatrale Compagnia B, che si terrà a Cagliari dal 5 al 9 dicembre nella Sala M2 del Teatro Massimo. Anche quest’anno è previsto il momento tanto amato dagli spettatori: Incontri con gli autori, quando il pubblico in sala avrà l’occasione di ascoltare gli interventi dei filosofi Umberto Galimberti e Leonardo Caffo, il giornalista Gad Lerner, il semiologo Stefano Bartezzaghi e l’arrampicatore Manolo.

«L’equilibrio non è mai sicuro e non è mai definitivamente raggiunto – scrive la direttrice artistica del festival Alice Capitanio – si costruisce e si disintegra passo dopo passo durante il percorso di evoluzione. Esporsi alla ricerca dell’equilibrio può essere spaventoso perché contempla la possibilità di cadere, ma per quanto possano darci sicurezza le rive e gli approdi sicuri, restiamo per nostra natura dei funamboli, il cui maggior talento è creare migliori modelli di esistenza, attraversando il vuoto, inevitabilmente in equilibrio sulla corda della nostra vita».

Si parte giovedì 5 dicembre alle ore 17 con un reading dell’attore Angelo Trofa. Dalle 17:30 il giornalista e scrittore Daniel Tarozzi tratterà il tema dell’economia sostenibile durante l’incontro Una moneta chiamata fiducia: oltre il denaro – l’esperienza vincente di Sardex. Una rete di cittadini, imprese, associazioni, messe in relazione tra loro attraverso uno strumento innovativo che si basa su reciprocità, mutuo credito, innovazione.

Si passerà poi alla filosofia con Leonardo Caffo, classe 1988, docente di Filosofia Teoretica al Politecnico di Torino, collaboratore del Corriere della Sera e autore e conduttore per Radio 3 Rai. Lo stato dell’arte della filosofia contemporanea è il titolo del suo intervento che si terrà a partire dalle ore 18:30.

Ormai un habitué del “LEI Festival”, l’ospite più atteso è senza dubbio Umberto Galimberti. Il filosofo milanese terrà una conferenza in cui parlerà del difficile equilibrio quotidiano che l’uomo prova a mantenere con la follia che, a suo dire, abita le parti più intime di ogni individuo. «Per difenderci  – afferma Galimberti – abbiamo inventato la ragione, che è un sistema di regole utile per intenderci e prevedere i nostri e gli altrui comportamenti. Oggi, nell’età della tecnica, che è la forma più alta di razionalità mai raggiunta dall’uomo, la ragione tende ad avere il sopravvento, mettendo l’uomo fuori dalla storia perché, oltre alla razionalità, l’uomo è anche irrazionale, perché irrazionale è il dolore, l’amore, l’immaginazione, l’ideazione, la creatività, il sogno. Se perdiamo quest’altra parte di noi stessi, rischiamo di diventare, come già avvertiva Marcuse “uomini a una dimensione”, tutti omologati, senza più un’individualità che fa ognuno di noi diverso dagli altri».

In programma per venerdì 6 dicembre alle 17:30 l’incontro con la nutrizionista Lucilla Titta, che affronterà il tema della ricerca di equilibrio tra alimentazione e salute. In particolare, l’ospite proverà a sfatare alcuni miti di certe “mode alimentari” che offrono soluzioni semplici per restare sani e vivere a lungo.

I figli dei nemici è invece il titolo della conferenza che sarà tenuta da Raffaela Milano a partire dalle 18:30. Da sempre impegnata nel mondo dell’associazionismo e del volontariato, dal 2011 coordina i programmi nazionali di Save the Children Italia. Nel corso dell’incontro attraverserà con il pubblico i primi decenni del Novecento per restituirci l’impegno e la dedizione di una donna che ha sfidato il suo tempo: Eglantyne Jebb. Nel 1919, all’indomani della Prima Guerra Mondiale, la donna diede vita a Save the Children per soccorrere i bambini austriaci e tedeschi che stavano morendo di fame a causa del blocco navale imposto dalle nazioni vincitrici.

Terzo e ultimo appuntamento della seconda giornata alle ore 20 con La banalità dei social, che vedrà sul palco del Teatro Massimo lo scrittore e semiologo Stefano Bartezzaghi. Chi non detesta i luoghi comuni? Nessuno, e quindi possiamo dire che detestare i luoghi comuni è un luogo comune. Nei social network troviamo rappresentati e amplificati questi paradossi, ma essi esistono da quando esiste la società moderna. E di questo il pubblico dibatterà con lo studioso, già noto per le sue rubriche su giochi, libri e sul linguaggio che cura per importanti giornali quali La Stampa, La Repubblica, Vanity Fair e L’Espresso.

Sabato 7 dicembre, la terza giornata del “LEI Festival” si apre alle ore 17 con la premiazione del Concorso internazionale per micro racconti Lina Patanè. Organizzato in collaborazione con l’associazione Girotondo di Madrid, il concorso vuole valorizzare la scrittura femminile, la lettura e l’incontro.

Alle 17:30 la coordinatrice di IAPh-Italia (centro di ricerca di pensiero femminista) e direttrice del Master di I livello “Studi e politiche di genere” Federica Giardini terrà una conferenza dal titolo Il differenziale. Grammatica e dinamica delle relazioni. Durante l’incontro, l’ospite risponderà ad alcune domande: a che condizioni il divenire delle relazioni appare come una necessità, una promessa e non la minaccia di una perdita? Perché la crisi in cui ci troviamo incombe come un pericolo e sembra sollecitare uno stato generalizzato di difesa e reazione? A che esigenze risponde il luogo comune e condiviso che rende rassicurante la permanenza, la ripetizione dell’uguale e la stasi?

Un altro ritorno al “LEI Festival” è quello della poetessa Vivian Lamarque che dalle ore 18:30 incontrerà il pubblico con una conferenza dal titolo La poesia cammina su un filo. «Mi piace fare poesia o leggere poesia – racconta Lamarque – non mi piace molto parlare di poesia. Veramente non mi piace parlare di quasi nulla, insomma non mi piace parlare, tutte le parole che nei giorni, nei mesi e negli anni non dico, si mettono in fila nel mio pennino, aspettano pazientemente di diventare scrittura».

È invece la prima volta al Festival per Gad Lerner, tra i più noti e apprezzati giornalisti italiani. A partire dalle ore 20 si confronterà con il tema di quest’anno, sostenendo che il nostro equilibrio si regge sulla capacità di distribuire il peso attraverso il movimento. La stessa retorica delle radici e la pretesa di esibire come autentiche, ataviche, identità posticce, frutto di manipolazione artificiale, sono un camuffamento tipico del nostro tempo ormai globalizzato.

Chiusura in musica con il concerto di Chiara Effe a partire dalle 22:30. La cantautrice presenterà al pubblico  il repertorio dei suoi brani più famosi, da “Se poi fai la pace” a “Persino un cieco”, passando dall’album “Via Giardini”. Tutti brani che le hanno valso l’assegnazione del premio De Andrè 2018 e del Premio dei premi 2019.

Domenica 8 dicembre, l’ultima giornata del Festival si apre alle ore 17 con Alda Merini. L’eroina del caos, un omaggio alla poetessa milanese. In occasione dei dieci anni dalla scomparsa, un incontro per ripercorrere la sua vita insieme alla giornalista Annarita Briganti.

Si prosegue alle ore 18 con il medico, psichiatra e psicoanalista Stefano Bolognini impegnato in un incontro dal titolo Equilibrio psichico e autenticità. Attraverso brevi esempi clinici, l’ospite esplorerà l’auto-inganno di equilibri solo apparenti e in realtà inautentici, per descrivere poi il possibile passaggio maturativo da un assetto interno narcisistico e anti-relazionale “blindato” ad una comparsa della capacità di amare: un equilibrio difficile, dinamico, vero, orientato verso la vita.

A partire dalle ore 19, gli autori Andrea Colamedici e Maura Gancitano raccontano l’altra faccia della luna: e cioè come fin dagli albori dell’umanità all’interno di saghe, leggende ed epopee letterarie, i modelli di donne forti sono sempre stati ridotti al silenzio.

Grande chiusura alle 20:30 con Maurizio Zanolla, più conosciuto con il nome di Manolo. Il famoso arrampicatore ripercorre gli anni che l’hanno portato alla celebrità raccontandoli attraverso le scalate: le esperienze più significative, intense e toccanti di una vita vissuta alla ricerca dell’equilibrio. «Non andavo in montagna per morire – racconta Zanolla – ci andavo per vivere la bellezza della natura, lontano dalle contaminazioni sociali, dalle certezze soffocanti, dalle false sicurezze».

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