La dimensione politica della pandemia

 

Busto di Pericle

 

di Giancarlo Pillitu

 

Sembra inevitabile che il fuoco del discorso, quando si parli dell’attuale emergenza pandemica, si sposti dal problema del numero dei contagi e delle morti da Covid-19, dovuto alla cosiddetta seconda ondata (e all’orizzonte incombe minacciosa anche una temutissima terza ondata), al tema delle difficoltà, delle rinunce, dei sacrifici che la popolazione deve affrontare a causa delle restrizioni imposte dalle misure governative anti-covid.

Il problema è capire quale effettivamente sia il cuore del problema, il solo che possa consentirci di interpretare nel modo più corretto possibile la situazione presente.

Siamo, anche dal punto di vista conoscitivo, oltre che da quello esistenziale, in una situazione tragica. Tragica, perché dominata dal conflitto insuperabile, o apparentemente insuperabile, tra opposti principi e opposti diritti. E’ significativo il fatto che uno dei termini delle diverse coppie oppositive sia sempre lo stesso: la salute. Ma vediamo i diritti in conflitto:

  • Salute vs libertà di circolazione
  • Salute vs lavoro
  • Salute vs istruzione/studio
  • Salute vs famiglia/affetti/tradizione
  • Salute vs religione/rituali e cerimonie religiose o laiche (matrimoni, funerali, etc.)

Il governo sembra accusato di favorire il primato assoluto alla tutela del diritto alla salute, forse anche con l’intento subdolo di negare la libertà individuale e collettiva e così tenere sotto controllo capillare la popolazione.

Si ha l’impressione di assistere al trionfo della concezione organicistica dello Stato, che privilegia il funzionamento efficace della totalità, grazie all’armonia delle parti che la compongono. Una non-interferenza il cui costo è il sacrificio della libertà.

Ci si dimentica, tuttavia, dell’insegnamento contenuto nel mito di Prometeo nella versione di Protagora, così come viene riportato nell’omonimo dialogo platonico. Mito che ci ricorda come l’arte della politica sia un dono divino (nello specifico, di Zeus) per evitare il conflitto tra gli uomini, che comporterebbe la dispersione e la conseguente estinzione della specie umana. Ogni uomo, in sostanza, sarebbe in grado, secondo il grande sofista, di convivere pacificamente in società con gli altri uomini perché dotato delle due virtù basilari della politica, ovvero il rispetto degli altri e la giustizia. Lo stesso Pericle nella sua orazione funebre in onore dei soldati ateniesi caduti nel primo anno della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), nel tessere le lodi della democrazia ateniese sostiene: “Un uomo che non si interessa dello Stato non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e, benché soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla” (Tucidide, La guerra del Peloponneso, II, 40). Esisterebbe, dunque, un grado basilare dell’arte politica, di cui tutti gli uomini sarebbero in possesso, che consiste nel saper distinguere tra una buona e una cattiva politica. Il che non è poco. Infatti, è quanto basta ai più per contribuire attivamente alla coesione e al progresso sociale.

Tale idea della politicità dell’uomo mitiga l’eventuale deriva organicistica nella quale una politica dell’emergenza potrebbe incorrere.

Inoltre, occorre precisare che il confine tra la phýsis (la natura) e il nόmos (la legge), intorno al quale dibatterono i sofisti della seconda generazione, da Ippia e Antifonte a Trasimaco e Callicle, non è facilmente individuabile.

Salute, libertà, lavoro, istruzione, famiglia, affettività, tradizione, così come risultano codificati nella Costituzione italiana, sembrano tutti costrutti, per dirla con Nietzsche, “umani, troppo umani”. Ma è anche vero che tutti, e questo è l’aspetto fondamentale, sono espressione del carattere relazionale dell’essere e della comunità.

Tuttavia, la tutela della salute pubblica, che va oltre l’idea egoistica e libertaria della salute individuale, in base alla quale si è liberi di avvalersi o meno delle cure della medicina, costituisce, a nostro parere, l’espressione massima della relazione etica fra l’io e l’altro, incentrata sulla preoccupazione/occupazione della tutela del bene comune più prezioso: la salute. Ovvero, la vita. Perché tutelare la salute delle persone significa garantire la loro vita. In primo luogo, occorre prendersi cura della salute del prossimo, garantendogli la salvezza della vita, mediante il comportamento responsabile di ciascuno di noi, anche a costo di rinunce e sacrifici; poi, in secondo luogo, compatibilmente con lo sviluppo della situazione emergenziale, si creano lo spazio e il tempo adeguati all’offerta degli altri servizi e al soddisfacimento degli altri bisogni, attraverso il lavoro, l’istruzione, la condivisione delle tradizioni, della cultura, dell’intrattenimento, del divertimento, dello scambio affettivo e di tutto ciò che concorre a far crescere ulteriormente l’essere della comunità come relazione.

Vale la pena o no fare dei sacrifici, anche se per un tempo lungo (mesi/anni), affinché gli altri, tutti gli altri, vedano tutelata il più possibile la propria salute e quindi la propria vita? Questa è la domanda che conta, quella con la quale ci si deve confrontare, la sola che possa guidarci al superamento della sensazione di trovarci in un vicolo cieco dell’etica, ovvero in una condizione tragica. E dalla condizione tragica nella quale la pandemia ha gettato l’intera umanità si può uscire soltanto attraverso una via politica, ovvero facendo leva sulla capacità di giudizio dei cittadini del mondo intero affinché riconoscano e scelgano, soprattutto nei momenti più critici, la buona politica.

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