Siamo tutti migranti, tutti d’una stessa razza…

Esaminiamo alcuni aspetti del fenomeno immigratorio, soprattutto il linguaggio utilizzato, i pregiudizi correnti e le cause non troppo conosciute

di Gianni Rallo

Quella che stiamo per affrontare è una delle questioni più delicate dei nostri tempi, non tanto per le sue caratteristiche, per i numeri in gioco o per qualche eccezionale variante razziale o antropologica, quanto piuttosto per i motivi profondi del suo accadere e per come, in prospettiva, le cose potranno svilupparsi. Sto parlando del fenomeno dei migranti, di coloro che, in fuga, da situazioni di guerra o, comunque, di invivibilità, rischiano quotidianamente la pelle per trovare possibilità di sopravvivenza alternative e, nella loro speranza, migliori.

A dire la verità, il fenomeno degli spostamenti, anche molto importanti, di masse umane è una colonna portante della storia umana. Non c’è epoca storica, né luogo del Pianeta dove questo non sia accaduto. Senza volerla fare lunga, basti pensare alle origini e alla diffusione dell’umanità da un solo luogo – Africa o Asia che sia -, agli spostamenti di interi popoli dalle pianure della Mongolia all’Europa fino a determinare il carattere indoeuropeo dell’Europa stessa; e ancora, alla colonizzazione del continente americano ad opera di popolazioni mongole che, approfittando di una piccola glaciazione verificatasi circa 40.000 anni fa, hanno attraversato lo stretto di Bering su una lingua di ghiaccio stanziandosi chi al nord dell’America (i pellerossa), chi al centro o al sud (Maya, Aztechi e Incas, per non parlare delle popolazioni preesistenti). Volendo potremmo anche citare i milioni di europei che per motivi religiosi (nel ‘600) o per motivi economici (nel ‘700) hanno fatto rotta verso il nord America dando origine a quelle colonie che saranno il nucleo dei futuri Stati Uniti d’America. O, per chiudere il risicatissimo elenco, tutti gli emigrati dall’Europa (o anche verso l’Europa, in altri tempi) in cerca di lavoro, italiani, irlandesi, portoghesi, spagnoli, e poi filippini, indonesiani, turchi, etc. etc. Tuttora, i nostri giovani si disperdono per il mondo alla ricerca di lavoro (non è forse un immigrato chi si trasferisce in Germania o in Inghilterra alla ricerca di lavoro, e magari viene trattato come un turco o un indonesiano?).

Insomma la storia umana, le culture umane non nascono né si sviluppano come funghi solitari ma si compongono di una enorme quantità di apporti culturali, linguistici, tecnico-scientifici, folcloristici, religiosi, ecc. ad opera di altre popolazioni. L’Europa stessa non sarebbe quella che è senza i fondamentali apporti indoeuropei, mediorientali ed arabi soprattutto. Certo, l’Europa è anche cristiana, ma non dimentichiamo che il retroterra e molti “miti” delle grandi religioni monoteistiche (Cristianesimo, Ebraismo e Islamismo) affondano profondamente le loro radici in culti e miti – quando non in vere e proprie filosofie – indiani e mediorientali (Zarathustra, etc.)

Detto, troppo brevemente, questo, vediamo di evidenziare alcuni aspetti della questione che possano aiutarci in una riflessione che non pretende di essere esaustiva né portatrice di tutte le verità: ci basterebbe riportare al loro posto qualche pregiudizio o qualche non sempre involontaria distorsione. Intanto la questione linguistica, la lingua, le parole che si usano non sono semplici suoni ma, veicolando significati e visioni del mondo, possono, perciò, diventare armi. La parola “immigrato”, molto spesso usata, non è sufficiente a definire il fenomeno: significa, grosso modo, “persona che, provenendo da un‘altra parte del mondo, è venuta a stabilirsi qui ed è tollerata se rispetta le nostre regole”. Ben pochi, tra le gente dei “barconi”, sono coloro che rientrano in questa definizione: ci sono coloro (molti) che fuggono da situazioni di guerra – e sono profughi, o richiedenti asilo o sfollati, a seconda di situazioni ben definite dal diritto internazionale -; ci sono coloro che effettivamente cercano, come è accaduto ai nostri avi, una migliore situazione di lavoro, e allora transitano per l’Italia, diretti in altri luoghi, e sono migranti (cioè si stanno spostando), non immigrati (cioè arrivati dove volevano, a meno che non si fermino o siano costretti a farlo); ci sono gli extracomunitari, cioè non appartenenti alla Comunità europea, ma il termine ha acquisito un significato dispregiativo andando al di là del suo significato: è, però, extracomunitario anche il ricco americano che si stabilisce in Europa, o l’emiro arabo che col suo yatch da 150 metri “campeggia” al largo di Portofino, o il giocatore-fenomeno argentino che viene acquistato a suon di milioni da una qualche potente squadra di serie A, etc. Per tutti costoro, oggettivamente extracomunitari, si usano altri termini, quasi tutti indicanti ammirazione e invidia. Il linguaggio, insomma, è il primo strumento di discriminazione e di odio, oltreché spia implacabile di una ignoranza non sempre innocente. E’ principalmente responsabilità dei mass media insistere con questi strumenti comunicativi (parole e immagini) fino a raccontare una “verità” che quasi mai combacia con la realtà dei fatti.

A questo proposito non si può non parlare di un altro aspetto determinante della faccenda: l’assimilazione di immigrato con musulmano e, quindi (ma perché quindi?), terrorista.

Chi è pronto a sostenere che “tutti” gli immigrati sono musulmani? Chi – a parte certi imbecilli che pontificano in prima serata – si assume la responsabilità di affermare che “tutti” i musulmani sono terroristi e che l’Islamismo stesso è violento per definizione (a questo proposito, un altro articolo cercherà di dar conto di alcuni importanti fondamenti dell’Islamismo)? Chi non si rende ancora conto che, invece, le politiche portate avanti da molti Stati hanno costituito e tuttora costituiscono vero e proprio terrorismo (rinvio, per questo, al libro appena scritto dal colonnello svizzero Jacques Baud, Terrorismo: menzogne politiche e strategie fatali dell’Occidente, non tradotto in italiano, però, chissà come mai…)?

Attenzione, siamo nel cuore caldo della questione: qui, i mass media asserviti ad una visione del mondo costruita a tavolino ad uso e consumo di chi ha tutto da guadagnare da uno “scontro di civiltà” (per usare la famosa espressione di Samuel P. Huntington, nel suo libro Scontro di civiltà e nuovo ordine mondiale) hanno una pesantissima responsabilità ed è per questo che la questione sarà trattata in un ulteriore articolo ad integrazione di questo, su questo stesso numero di Vulcano.

E, poiché lo spazio incalza, veniamo ad un terzo aspetto, tutt’altro che secondario, del problema: perché questo formidabile esodo di genti? Che cosa spinge intere famiglie a mettere a repentaglio le proprie vite per giungere sulle nostre coste dove, sia detto, quasi mai “sbarcano” perché intercettati in mare e portati nei centri di accoglienza; tuttavia, per chi vuole intorbidire le acque, il termine “sbarco” richiama l’”attacco”, l’”invasione”, l’”intrusione”, il pericolo e l’emergenza, insomma. Ancora le parole.

Perché, dunque? La tesi più accreditata e, apparentemente, più logica, vorrebbe che, visti i disordini, le guerre, la devastante azione dell’Isis in Medio Oriente, la popolazione civile sia costretta alla fuga. Un’altra botta di comune buon senso propone, visto l’evidente e costoso impaccio che la presenza di tanti disperati comporta, di “aiutarli a casa loro” (non “nei loro Paesi”, no: “a casa loro” e chi vuole intendere intenda). Ma le cose pare stiano diversamente. Sto facendo riferimento alle pagine 159-160 del libro (caldamente consigliato) False-flag – Sotto falsa bandiera di Enrica Perucchietti, Arianna Editrice: False-flag sono quegli eventi fatti accadere o lasciati accadere per poi incolpare qualcun altro. I vari attentati a cui stiamo assistendo (ma la storia ne è piena!) vengono fatti rientrare in quella definizione. Nelle pagine che ho citato appare un paragrafo dal titolo “Gli Usa finanziano l’immigrazione?”. L’ipotesi è sostenuta con l’ausilio di parecchi supporti documentali. In particolare, Thierry Meyssan (intellettuale/giornalista francese, presidente-fondatore del Rete Voltaire e della conferenza Axis for Peace; autore di analisi di politica internazionale sulla stampa araba, latino-americana e russa) sostiene che gli Usa starebbero applicando in Medio Oriente la “teoria del caos” del filosofo Leo Strass.

Secondo questa teoria il “modo più semplice per saccheggiare le risorse naturali di un Paese […] non è occuparlo, ma distruggere lo Stato”. Senza Stato non c’è esercito e senza esercito non c’è necessità di combattere. La nuova strategia degli Usa e della Nato sarebbe, dunque, quella di distruggere le strutture statali con conseguenti emergenze umanitarie. Il caos come obiettivo, quindi, non come spiacevole conseguenza. Queste emergenze umanitarie hanno, a loro volta, altri scopi: possono giustificare eventuali interventi militari di “pace”, possono essere convogliati verso altri Stati che si vuole controllare. Questo, secondo Meyssan, è proprio ciò che sta accadendo nei confronti di quella Comunità Europea che proprio gli Stati Uniti hanno voluto così come è stata costituita, cioè con le autonomie statali di fatto annullate dai vari trattati e sottomesse ad organi di governo non democratici, perché non eletti.

E le prove?

Mi pare di sentirle le solite vocine che, incredule e stupefatte (ma in tv non se ne parla!), invocano le fonti. Cito dunque alcune di queste fonti e chiudo, poi ognuno avrà la responsabilità di proseguire la ricerca, controbattere, confermare o tacere. Non solo gli Usa utilizzano come detto questi flussi migratori ma ne traggono profitto: “Il giornale austriaco InfoDirekt (cito dalle pagine suddette) sostiene di aver appreso da un rapporto interno dello Osterreichschen Abwehramts (i servizi di intelligence militari di Vienna) che dietro la tratta dei migranti africani […] vi sarebbe la regia degli Stati Uniti”. Secondo i servizi segreti austriaci esistono organizzazioni americane che acquisiscono e gestiscono il flusso di denaro necessario ai trafficanti di esseri umani. Queste organizzazioni sono state operative, ad esempio, anche in Ucraina, Il giornalista Maurizio Blondet che, riprendendo il lavoro di Meyssan ha denunciato il tutto in rete (http://www.maurizioblondet.it/negri-e-scafisti-finanziati-dagli-Usa/), fa “allusione ad organizzazioni non governative americane facenti capo al Dipartimento di Stato o al miliardario George Soros”. Aggiungo, per soddisfare quelle vocine che sento rialzarsi, quanto sostiene un altro articolo del giornale austriaco citato: “..anche in Austria c’è il “business dei profughi”.

Una azienda per i “richiedenti asilo” ha ottenuto dallo Stato 21 milioni per assisterli e nutrirli”. L’organizzazione in questione è la ORS Service AG con sede in Svizzera, posseduta dalla finanziaria British Equistone Partners Europa, facente capo alla Barclays Bank a sua volta controllata dai Rothschild. Uno di loro, Marcus Rothschild, ha il controllo della BBC “ed è anche uno dei tre amministratori del comitato direttivo del gruppo Bilderberg”. Ma di cosa diavolo parlano i telegiornali? Eppure queste cose sono messe nero su bianco in rete e in parecchi testi da studiosi e giornalisti, vivi, reali (e perseguitati o ignorati, quando va bene) che si occupano di cosa stia veramente dietro alle “verità” preconfezionate dalle agenzie di stampa che i mass media ci raccontano senza poterle controllare. Nell’articolo che integra questo, più avanti, citerò e, ovviamente, raccomanderò alcuni di questi libri.

Vulcano n° 89

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