L’azienda e il disoccupato

Premessa: io non sono un economista ma solo un piccolo imprenditore. Le cose che scrivo sono il frutto delle mie esperienze di vita e di lavoro. Le riflessioni che seguono non si basano su dati certificati dall’ISTAT e approssimati ai decimali (che avrebbero reso la narrazione noiosa per i non addetti ai lavori) ma su dati approssimativi – ma altamente affidabili – basati su valutazioni elementari e intuitive alla portata di tutti. Riflessioni che spero siano condivise da tutti i lettori di Vulcano.

Non è necessario dedicare molte parole per spiegare quanto sia grave e preoccupante il fenomeno della disoccupazione: i disoccupati, così come le loro famiglie, vivono sulla propria pelle le conseguenze della mancanza di lavoro e sanno perfettamente quanto esse siano dolorose. In una famiglia in cui tutti (o quasi tutti) lavorano non esistono problemi economici, mentre dove pochi o nessuno lavora i problemi diventano gravi e si vivono situazioni di povertà se non di disperazione.

Alle difficoltà economiche si aggiungono quelle psicologiche ed esistenziali: il lavoro è infatti una formidabile occasione per confrontarsi quotidianamente con altre persone, per mettere a frutto le proprie capacità e la propria creatività, per sentirsi parte attiva della comunità in cui si vive e per contribuire allo sviluppo del proprio Paese. Per un disoccupato la situazione è diversa: egli è escluso dai processi produttivi, è confinato in una situazione umiliante e mortificante e rischia di sentirsi rifiutato e socialmente inutile.

Ho intitolato queste riflessioni “L’azienda e il disoccupato” rischiando di creare confusione. Si tratta infatti di due termini non omogenei, anzi conflittuali, come i gatti coi topi. In un ambiente dove operano molte aziende non esistono disoccupati. Viceversa, dove è alto il numero dei disoccupati si registra l’assenza di aziende robuste e produttive.

Quando parlo di aziende mi riferisco alle piccole e medie aziende private, che sono la struttura portante dell’economia della nostra nazione e, ancora di più, della nostra isola, anche se so perfettamente che non tutti quelli che lavorano sono occupati in aziende private. Esiste infatti un grande numero di persone che lavorano presso gli enti pubblici, sui quali non voglio esprimere alcun giudizio. Perché lo scopo di queste note non è quello di confrontare la produttività delle aziende private con quella delle aziende pubbliche ma semplicemente quello di cercare di capire perché nel Sud della nazione e, in particolare, in Sardegna, esiste una disoccupazione molto più elevata rispetto alle regioni del Nord.

Consideriamo semplicemente il fatto che nell’area in cui viviamo, cioè nella zona in cui viene diffusa la rivista Vulcano, le persone di nostra conoscenza – occupate presso un ente pubblico – lavorano solitamente presso uno di questi enti: la Regione Sardegna, quel che resta della Provincia di Cagliari, uno dei tanti Comuni presenti sul territorio, un ente militare (Aeronautica, Esercito, Marina), la Polizia, i Carabinieri, la Guardia Forestale, una struttura sanitaria (ospedali, cliniche, laboratori di analisi, etc), un istituto scolastico, le ferrovie o le autolinee e così via. Ognuno di noi può completare la lista utilizzando le proprie conoscenze dirette.

Quel che a me pare certo è che anche in Lombardia o in Emilia-Romagna esistono gli stessi enti pubblici che ho elencato sopra, ed è pertanto ragionevole pensare che se il 50 per cento degli occupati meridionali lavora presso uno di tali enti, anche il 50 per cento degli occupati settentrionali sia occupato nei corrispondenti enti delle propria zona. Viene pertanto da chiedersi: perché i disoccupati della nostra zona sono tanto più numerosi dei disoccupati della Lombardia e dell’Emilia-Romagna ?

Semplicemente perché nelle regioni settentrionali esiste una infinità di piccole, medie e grandi aziende che producono, distribuiscono i loro prodotti su tutto il territorio nazionale, esportano in Europa e nel mondo e offrono occasioni di lavoro a tutte le persone che non hanno trovato occupazione presso un ente o un’azienda pubblica. Posso garantire, per conoscenza diretta, che le occasioni di lavoro offerte dalle aziende private in quelle regioni, sono talvolta così interessanti e ben remunerate che alcuni giovani rifiutano l’assunzione presso un’azienda pubblica per abbracciare una esperienza lavorativa presso un’azienda privata.

Voglio richiamare l’attenzione dei lettori su due fatti. 1°: nel Nord del Paese lo spazio (intendo le occasioni di lavoro) non occupato dalle iniziative pubbliche viene “riempito” da una grande varietà di iniziative private, mentre nel Sud tale spazio resta vuoto e le occasioni di lavoro non si creano, mentre dilaga la disoccupazione, soprattutto quella giovanile. 2°: chi lavora nel settore privato svolge la propria attività “all’interno di un’azienda”. Se posso azzardare un esempio: il lavoratore è “attaccato” all’azienda così come un frutto è appeso ad un albero. Così come non esiste un frutto appeso al nulla non esiste un lavoratore non integrato in una azienda: anche le aziende in cui lavora solo il titolare sono comunque imprese individuali, suscettibili di crescere e comunque distinte contabilmente dalla persona dell’imprenditore. Per analogia: un albero che non dà frutti è simile ad un’impresa che non riesce a creare occupazione. Né si può pensare di aumentare la quantità e la qualità dei frutti concentrando le attenzioni e le cure sull’ultimo anello della catena, cioè sui frutti. Come insegnano tutti i buoni contadini, è necessario partire da lontano: avere cura del terreno e poi degli alberi, che danno origine alla crescita e alla bontà di numerosi frutti.

Il motivo principale per cui la Sardegna “sperpera” una quantità enorme di risorse economiche per le “politiche attive per il lavoro” (belle parole!) senza mai risolvere il problema è che i nostri amministratori si comportano come un contadino imbecille: guardano il singolo frutto, lo accarezzano, lo lucidano, ma non si curano dell’ambiente e del terreno (infrastrutture e servizi) e degli alberi (le aziende) che sono le indispensabili premesse affinché possano crescere dei buoni frutti.

Mi accorgo di aver usato tutto lo spazio messo a mia disposizione, anche se avrei voluto fare qualche altra considerazione. Ma se il Direttore di Vulcano lo ritiene utile, potremo tornare su questi argomenti per meglio approfondirli e sentire in proposito qualche altro parere, sia pure discordante.

di Franco Dalmonte

N.B. articolo realizzato prima dell’emergenza coronavirus

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